Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Due Santi, tre collari Per la prima volta esposti insieme gioielli di San Gennaro e San Vincenzo
Due santi, tre collari e molti secoli di storia. Al Museo del Tesoro di San Gennaro, in esposizione per la prima volta insieme, un trittico di macro-gioielli devozionali, ognuno formato da una serie di preziosi in pietre, ori e argenti. Ogni collare racconta almeno due storie, quella dei donatori e l’altra degli artigiani orafi, in alcuni casi delle superstar dimenticate, un tempo corteggiatissime da sovrani e aristocratici.
Tutto questo luccica nella mostra Tre collari. I gioielli della devozione, a cura di Laura Giusti, da ieri e fino al 14 maggio al Museo di via Duomo, a Napoli. In tre teche giustapposte tre maestà dell’oreficeria che lasciano senza fiato, soprattutto in questa temporanea vicinanza: per la prima volta infatti va in trasferta il collare di San Vincenzo Ferrer, storico protettore del quartiere Sanità, conservato nel Museo Diocesano di Napoli e di proprietà del Fondo edifici di culto.
Al centro, a dominare la scena, c’è il collare «solenne» di San Gennaro. È quello più noto, indossato nelle «uscite» ufficiali dall’argenteo mezzobusto angioino del patrono, ed è composto dalle inestimabili offerte di sovrani e nobili.
Alla sinistra di questo fa bella mostra di sé il collare Spera che porta il nome della famiglia napoletana che lo donò. In particolare furono Giovan Francesco e sua moglie Anna Lucrezia nel 1706 a omaggiare il santo con questo prezioso manufatto che con la sua base di perline è un po’ la proposta prêt à porter nella vestizione del santo. Per secoli messo in ombra dal bagliore del collare con i doni dei reali, il pettorale «feriale — spiega la curatrice — è frutto dell’assemblaggio di perle e di gioielli più modesti, forma un diGranato
In alto il collare di San Vincenzo Ferrer A destra quello Spera, ovvero il «feriale» di San Gennaro, qui sopra quello solenne del patrono segno elegante e rappresenta un unicum nella storia dell’oreficeria napoletana. La data della donazione di molti preziosi sciolti (1704) e quella del loro montaggio sul collare (1706) consentono di datare vince la sezione prosa e poesia; «Storia del mondo, dal big bang a oggi» (La Nave di Teseo) di Giordano Bruno Guerri che vince la sezione Storia e «Love harder, le ragazze iraniane camminano davanti a noi» (Solferino) di Barbara Stefanelli che vince per la sezione Sociale. Circa diecimila ragazzi provenienti da tutto il mondo: da Albania, Francia, Stati Uniti e Russia, potranno leggerli e scegliere il libro preferito che si aggiudicherà l’ulteriore Premio Elsa Morante Scuole. quelli oggi presenti entro il 1706: un nuovo, significativo elemento di conoscenza per la storia del gioiello napoletano del XVII secolo».
E poi: «La mostra è stata l’occasione per studiare, inoltre, per la prima volta il retro dell’opera, che è in argento; qui sono incisi la data del montaggio, il nome e lo stemma della famiglia Spera». La quale si offrì di completare lo scrigno di Faccia Gialla con questo collare feriale che mancava tra i beni della Deputazione. Le mostre ben fatte sono anche occasioni di aggiornamento scientifico grazie a ricerche mirate. «Quelle condotte nell’archivio della Cappella — continua Giusti — hanno svelato molti documenti inediti, grazie al supporto indispensabile di Rosa e Luciana De Maria». E spiega la novità sul collare solenne. «La sua storia ebbe origine nel 1679, quando la Deputazione commissionò all’orafo Michele Dato quella che è oggi la fascia superiore del gioiello. Nel XIX secolo questo fu trasformato nel grandioso pettorale che oggi ammiriamo attraverso un percorso articolato e non ancora del tutto chiarito. Grazie al ritrovamento di un documento del 7 settembre 1825, è tuttavia possibile aggiungere nuovi, importanti tasselli alla ricostruzione della cronologia dell’assemblaggio dei monili, e anticipare di circa vent’anni la prima operazione di montaggio dei gioielli al collare». Non solo. Il documento fornisce notizie anche «su quello che doveva essere uno dei maggiori orafi del momento, Mariano Sarno». Ovvero «il napolitano» che «pensò di trar guadagno dalla imitazione di quegli antichi ornamenti, e tanto bene riuscì il suo fine che molti altri orefici si posero all’opera stessa, abbandonando la goffa maniera che prima usavano» (Augusto Castellani).
Lo sfarzo meraviglia, ma a commuovere davvero è il collare vincenziano del «Munacone» from Sanità, espressione di una devozione popolare distillata in ogni piccolo anello, orologio, orecchino che pare «impegnato» «spegnato» e donato al santo che secondo la tradizione fermò l’epidemia di colera del 183637. «È il popolo che si priva dei suoi gioielli per donarli al santo domenicano e che dona tutt’ora oggetti che vengono sapientemente composti in un insieme ricco ed armonico» aggiunge la curatrice.
Alla presentazione di ieri interventi di monsignor Adolfo Russo, Riccardo Imperiali di Francavilla per la Deputazione Cappella del Tesoro di
Carte inedite retrodatano il pettorale «solenne» Dalla Sanità il più «povero»
San Gennaro, Francesca Ummarino, direttrice del Museo, Ilaria D’Uva, Ceo del la società che gestisce le sale, don Luigi Calemme, parroco di Santa Maria della Sanità e naturalmente, monsignor Vincenzo De Gregorio, Abate Prelato della Cappella del Tesoro: «Se il diadema incorona il capo, e, dunque, è un eloquente segno di dignità riferita alla persona sulla quale esso è posto — dice — il pettorale, nella sua ampiezza abbraccia la parte della figura umana che richiama forza, coraggio, tenacia, protezione e sicurezza: il petto. Tant’è vero che nella lingua napoletana c’è un’espressione molto icastica per indicare l’inadeguatezza di una persona di fronte a un’impresa: nun è pietto suo. Magnifica no?».