Corriere del Mezzogiorno (Campania)
AL CORRIERE
Gentile direttore, in questi giorni Napoli è piena di studenti che sono stati portati alla scoperta della città attraverso una formula che ai miei tempi si chiamava semplicemente «gita scolastica». Apprendo da mia nipote che oggi queste divagazioni sul tema dello studio sono chiamate «viaggi di istruzione» e io rilancio affermando che questa uscite fuori porta non hanno più alcun senso. Se non quello legato ad una idea di socializzazione per una scolaresca che si ritrova a vivere insieme in una dimensione lontana dal quotidiano, con buona pace dell’abuso degli smartphone che spingono comunque all’isolamento. Una volta queste «gite» avevano un senso: offrivano la possibilità ai molti ragazzi che non viaggiavano, figli di famiglie non esattamente abbienti, di vedere qualcosa del mondo. Oggi tutti vanno ovunque, con la famiglia e da soli. E in estate si dividono fra corsi di lingua all’estero e lunghissime vacanze in giro per il mondo, senza restarsene certo nella casetta al mare. Vogliamo poi parlare della responsabilità che ricadono, nel corso di questi viaggi di istruzione, sulle spalle di insegnanti che valorosamente si offrono volontari per portare in giro adolescenti intemperanti e viziati? Perennemente distratti e alla ricerca di qualche rischio da correre e far correre ai propri compagni? Forse ho una visione troppo pessimistica delle cose, ma di certo queste centinaia di ragazzi che vedo in giro — perennemente in formazione da gregge — mi sembrano molto poco interessati alla città e tantissimo alle friggitorie e alle pizzerie che sono praticamente ovunque. Pure quella è Napoli dirà qualcuno, però che spreco ridurre le attrattive di una città così bella, unica e speciale a quelle di una qualsiasi paninoteca.
I viaggi scolastici nella città friggitoria