Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Valutare i dirigenti pubblici
Il bilancio comunale di previsione vede ridotto l’enorme disavanzo e raggiunti gli obiettivi del «Patto per Napoli». L’altra notizia (sul nostro giornale domenica scorsa, firmata da Francesco Parrella) riguarda il «premio di risultato» corrisposto dalla Città Metropolitana di Napoli ai suoi 19 dirigenti. La notizia non è di per sé interessante se si ritiene che il premio di cinquantamila euro sia stato meritato e ben calcolato. Del resto non è stato criticato politicamente.
Cosa per un verso positiva — perché offre lo spunto per parlarne senza pregiudizi e tecnicamente — ma per un altro verso singolare. Suscita il sospetto che i politici, al governo o all’opposizione, si guardino bene dall’inimicarsi l’apparato burocratico del settore di loro competenza.
Il fatto è che la valutazione dei risultati conseguiti dai dirigenti — cui spetta, a loro volta, la valutazione di funzionari e impiegati gerarchicamente sottoposti — è affidata ad appositi «Nuclei di valutazione» che di solito ragionano sulla base d’una documentazione cartacea fornita dagli stessi dirigenti e firmata dal politico. Che di solito difficilmente nega ai «suoi» dirigenti, rischiandone l’ostracismo, un giudizio gratificante. Così la complessa procedura di valutazione finisce col produrre più carte che giudizi veritieri. Che intanto aprono le porte a successive promozioni. Inoltre, per rendere (diciamo così) «imparziale» la valutazione, si preferisce un metodo quantitativo (pesi, coefficienti), non sempre adatto a valutare la qualità delle persone. Le quali, a parte la retorica, sono spesso più capaci di maneggiare leggi e regolamenti che di essere veri manager.
In realtà gli unici giudici dei «risultati effettivi», raggiunti dai politici grazie ai dirigenti, sarebbero i cittadini e gli utenti. Che però sono in genere esclusi dalla partecipazione a quella procedura, pur essendo in astratto i maggiori beneficiari dell’azione politico-amministrativa. Purtroppo, a differenza di altri Paesi — soprattutto, ma non solo, anglosassoni — in Italia è estranea alla cultura organizzativa dell’amministrazione la cosiddetta customer satisfaction. La «soddisfazione degli utenti» dovrebbe essere un criterio basilare di valutazione dei dirigenti pubblici. Attraverso il quale peraltro si riuscirebbe a valutare molto meglio l’operato degli stessi politici. Come dire: una forte spinta all’agognata trasparenza dei processi politici e amministrativi.
Non risulta che, specie al Sud, i Nuclei di valutazione consultino «associazioni di cittadini o utenti» per misurarne il grado di soddisfazione delle funzioni e dei servizi pubblici. Senza dubbio tali associazioni sono più attive al Nord che al Sud, ma soprattutto negli ultimi anni pure nel Mezzogiorno esistono aggregazioni di cittadini o utenti (associazioni di quartiere; comitati; circoli) desiderosi di esprimere giudizi, e soprattutto lamentele, sull’efficienza amministrativa.
Certo una palese contraddizione tra la realtà scadente dei contesti, che fanno parte della vita quotidiana dei cittadini, e l’eventuale giudizio positivo del Nucleo di valutazione (con conseguente attribuzione di premi e promozioni) è tra le più intollerabili disfunzioni del sistema pubblico.