Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Napoli silenzio e Gridas
La sede del Gridas intanto è ancora sotto sgombero L’appello è stato accolto: a novembre 2024 si saprà l’esito del ricorso
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«Cristo o nasce ogni giorno o non nasce mai...» diceva sempre Felice Pignataro ogni volta che arrivava Natale, per sottolineare l’inutilità degli anniversari. E di sicuro non approverebbe questo mio ricordo a vent’anni dalla sua scomparsa, il 16 marzo del 2004, ma spero mi perdoni anche perché Felice è diventato anima e corpo di ogni mia idea e parola illuminando il mio cammino e quello delle centinaia di associazioni che a Scampia continuano a guardare lontano stando sulle sue spalle come direbbe il filosofo francese Bernardo di Chartres.
Il muralista, originario di Mola di Bari, arrivato in città alla fine degli anni Cinquanta per studiare prima Architettura e poi Teologia, non si è mai laureato, ma a Napoli ha trovato casa e famiglia sposandosi con Mirella La Magna, un’insegnante con cui ha condiviso idee e vita.
Insieme a un gruppo di amici tra cui il fedelissimo Franco Vicario, nel 1981, Felice e Mirella hanno fondato l’associazione Gridas (Gruppo Risveglio dal Sonno) di Scampia, e nel 1983, il carnevale di quartiere. I murales e il carnevale erano e sono gli strumenti privilegiati da Felice per raggiungere le coscienze assopite di Scampia.
Come i grandi muralisti messicani, Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros, Felice credeva in un’arte collettiva, di cui poteva godere l’intera società. Un realismo sociale veicolato sui muri grigi della periferia nord di Napoli e non solo: chilometri di muri ridipinti che raccontano storie dando colore e dignità al quartiere. «Certo, con un pennello non si può cambiare il mondo — scriveva nel libro autoprodotto L’utopia sui muri (1993) —, si può però aiutare quelli che lottano per migliorare il mondo a vedere più vicino il cambiamento, rivestire di immagini le pareti squallide del nostro carcere quotidiano affinché, invece che un paesaggio deprimente, diventi l’anticamera colorata della società futura.
Raffigurare grottescamente i malvagi per esorcizzarne la pericolosità, celebrare i buoni per averne sempre presente l’esempio, potenziare le capacità dell’occhio di vedere senza inganni il presente e di prefigurarsi il futuro. Questo può il pennello, come la musica, per aiutare i sogni a diventare realtà».
Se l’arte è un atto d’amore, Felice ha amato così intensamente fino a consumarsi, fino a dissolversi in infinite sfumature che continuano a colorare e a profumare il quartiere in cui ha scelto di vivere.
«Raccontare i colori dei sogni — continua Felice —, i sogni collettivi, che sono l’inizio di una nuova realtà è il nostro intento, da cui il titolo: L’utopia sui muri, la prefigurazione dipinta del cammino da compiere per vivere meglio, in maniera che giorno per giorno si possa confrontare la quotidianità con la meta e ricavarne una costante spinta ad andare avanti».
E oggi, che le intemperie hanno cancellato la maggior parte dei murales di Felice, il quartiere si è ripopolato di nuovi colori e nuove storie, partorendo anche una street artist made in Scampia, la bravissima Trisha.
Chissà quante risate si è fatto in questi anni Felice pensando alla situazione assurda in cui, ormai da quasi quindici anni, si trova la sede del Gridas di Scampia, sotto sgombero per appropriazione di suolo pubblico. L’udienza del processo d’appello si è tenuta il 7 febbraio 2023. L’appello è stato accolto e a novembre 2024 si sapranno finalmente le conclusioni del ricorso.
Nonostante il suo sguardo e la sua intelligenza manchino come l’aria questo non è, e non vuole essere, il ricordo di un anniversario, ma un rivendicare con forza ciò che continua a spingerci in avanti contro tutto e tutti o come direbbe Fabrizio De Andrè «in direzione ostinata e contraria».
Mentre le intemperie cancellano i suoi murales, nel quartiere che rinasce opera Trisha, street artist giovane e bravissima
Venti anni fa l’addio a Felice Pignataro, muralista pugliese approdato in città negli anni ’50 Fondò il Gruppo Risveglio dal Sonno di Scampia
Alla domanda «a cosa serve l’utopia?», lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano rispose: «Lei è all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare».
«E a contagiare», aggiunge Mirella La Magna, per trovare compagni di strada come quelli che lo stesso Felice dipingeva sui muri, quelli che in cerchio si tenevano per mano, consapevoli che da soli non si va da nessuna parte.