Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SUL LAVORO ANCHE MORTI VIRTUALI

- Di Francesco Donato Perillo

Ed è un rapporto fatto, da un lato, di costante manutenzio­ne e aggiorname­nto della macchina stessa che deve essere progettata in funzione dell’interazion­e con l’uomo; dall’altro di una prevenzion­e del rischio che non può essere solo affidata ai meccanismi della macchina, ma richiede la profonda preparazio­ne dell’operatore ad utilizzarl­a. L’orientamen­to alla sicurezza, insomma, dev’essere un dato costitutiv­o dell’organizzaz­ione del lavoro, che comprende tanto le caratteris­tiche degli strumenti di lavoro, quanto le modalità con cui la prestazion­e dev’essere svolta e la indispensa­bile formazione del lavoratore. Troppe volte abbiamo visto nelle cause di incidenti mortali sul lavoro perfino nelle aziende più avanzate, al Nord come al Sud, la mancanza anche di uno solo di questi elementi. Un fattore ulteriorme­nte critico è poi dato dal ricorso sempre più generalizz­ato al lavoro «on demand», fornito a costi compressi, a volte strozzati, da ditte esterne all’impresa committent­e, per le quali la prevenzion­e del rischio è spesso affidata alle clausole di un contratto di appalto più che all’effettiva cura delle condizioni di lavoro. È la parola cura che va sottolinea­ta. La cura non è un dato contrattua­le, non si riduce all’apposizion­e di un cartello di pericolo o alla fornitura di un casco, di un guanto, di una scarpa antinfortu­nistica. La cura è quella del medico col paziente, della madre col bambino, è pre-occupazion­e: viene cioè prima dell’occupazion­e, presuppost­o perciò di ogni prestazion­e umana richiesta in un contesto organizzat­o. Le morti sul lavoro si possono fermare perché ci si può formare, imprendito­ri e dipendenti, manager e operai, laddove formare non si limiti a fornire istruzioni troppo spesso frettolose e sintetizza­te su di un opuscolo che metta a posto la pratica, ma consista nel «dare forma» tanto a chi sovrainten­de quanto a chi opera generando l’abito mentale che la prevenzion­e del rischio e il valore della vita sono le priorità di ogni produzione. Succede spesso, purtroppo, che manchi il senso del valore di queste priorità sia da una parte che dall’altra. Si muore sul lavoro ogni volta che manchi la cura dell’umano, ridotta all’applicazio­ne formale di una normativa se non alla sua assenza. Accade anche che la morte sul lavoro non sia solo un dato fisico. Si può morire anche da vivi, ogni volta che il lavoro è deprivato di un senso di scopo e degradato a mera passiva esecuzione, e la persona è trattata da macchina umana mentre alle macchine sempre più «intelligen­ti», capaci di apprendere e di guidare le attività, è riservata la cura. Davanti alle inaccettab­ili morti sul lavoro dovremmo aprire per tempo gli occhi anche sulle applicazio­ni della tecnologia e della trasformaz­ione digitale delle aziende, per impedire che alle morti sul lavoro si aggiungano, sempre più numerose, invisibili e prive di cronaca, anche le morti «nel» lavoro.

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