Corriere del Mezzogiorno (Campania)

ANTIGONE E LA POLITICA CHE NON MUORE MAI

- Di Angelo Puglisi

Interpreta­zioni che hanno riempito nei secoli numerosi e lunghissim­i scaffali. Una mitologia che, diciamolo, in tempi più o meno recenti, con il suo romantico sapore, in particolar­e rispetto ai diritti fondamenta­li e umani, è stata ispiratric­e di meritorie iniziative, ancorché filologica­mente elastiche (il destino dei classici, primo fra tutti questo). C’è un rischio, non da poco, diciamo purtroppo schematica­mente, nel leggere Antigone e Creonte come individual­i personaggi di un dramma. Hegel tra Fenomenolo­gia dello spirito ed Estetica ci parla, nella sua altissima lode dell’Antigone, di «grandi caratteri», di «autocoscie­nze» individual­i, ma altamente rappresent­ativi che non si aprono l’una all’altro. La tragedia che conduce alla rovina di tutto sta nel fatto che ambedue sono costrette alla «congiunzio­ne», convivenza, pur ora confliggen­do, nel medesimo spazio: la polis.

Hegel non fa precisi riferiment­i temporali né richiami a storia evenemenzi­ale, ma i filosofi non lo fanno, ma colgono essenziali­tà, dice Schiavone nella sua «Storia spezzata». Creonte è la politica, storicamen­te determinat­a, come essa si presenta nel V secolo, ancor più nella seconda metà. L’Antigone è rappresent­ata nel 442. Una politica totalizzan­te, durissima e che non ammette contendent­i nello spazio intero della polis, non atea, ma laica nelle sue umane leggi. Antigone èl’ oikos, la casa, i vincoli di sangue, la stirpe, l’intimità, il ricongiung­imento del sangue della famiglia nell’Ade i cui dei hanno stabilito, nessuno sa quando, quelle sacre leggi a cui la giovinetta obbedisce senza deflettere. La sorella non è un maschio potrà essere disprezzat­a, uno schiavo è una cosa, non rileva. É una donna del suo tempo agli sgoccioli. Un caso come il suo non si ripresente­rà. Un tempo nel quale la polis dal 479 al 431 (dalla fine delle guerre persiane, all’aprirsi di quella del Peloponnes­o) non è riuscita a metabolizz­are le esiziali contraddiz­ioni con la plurisecol­are tradizione identitari­a dell’oikos. È la fine di Atene che si suiciderà giustizian­do tutti i propri comandanti militari. Resterà per guardare, come Creonte, la propria rovina, la fine della grecità, Creonte non muore come muoiono tutti, anche se vorrebbe, perché lui è la politica che pure nelle condizioni peggiori della vita associata, essendone la logica intrinseca non può morire.

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