Corriere del Mezzogiorno (Campania)
COMPAGNONE, MANUALETTO DI ISTRUZIONI PER L’ALDILÀ
Un recente volume di Ermanno Cavazzoni, Manualetto per la prossima vita (Quodlibet, 2024) da pochi giorni in libreria, ha richiamato alla mente uno scritto di Luigi Compagnone pochissimo noto e pubblicato nel numero dell’ottobre 1980 de «il Caffè», l’indimenticata rivista fondata da Giovanbattista Vicari (una sede quanto mai appropriata per ospitare un testo molto particolare, una rivista impegnata in un’opera di sprovincializzazione e smitizzazione della cultura italiana, e non soltanto sul versante di essa, che simpatizzava con il grottesco e il fantastico).
«Se la persecutoria ironia dei Celesti ti ha spedito, suppongo, in Purgatorio, chiedi immediato diritto di asilo al Paradiso o all’Inferno. Non adagiarti, insomma nell’opaca mediocritas che ti ha frustrato da vivo: opta, quindi, per l’eterna Laetitia o per l’eterna Damnatio. In una parola, non vivere da morto come hai vissuto da vivo: da str .... , intendo». Iniziava così il Manualetto di autocomportamento post mortem meam, una sorta di testamento spirituale o, più modestamente, un lascito di indicazioni e suggerimenti ad amici e parenti circa il comportamento da assumere dopo la propria scomparsa. Luigi Compagnone, che scrittore era dei più vivi e capaci di ironizzare persino sulla propria morte, scrisse il manuale con molto anticipo (morì del 1998) e in maniera certamente originale. Egli destinò, infatti, le proprie raccomandazioni, non a chi sarebbe rimasto in vita, ma proprio a sé stesso, immaginandosi giunto alla conclusione dell’ultimo suo viaggio. Sono istruzioni da seguire nel caso si ritorni al mondo per una volta successiva o anche trovandosi ormai nell’aldilà per non cadere negli stessi errori commessi nella prima vita. Se uno potesse portarselo dietro ne sarebbe di sicuro avvantaggiato, sempre che la puntata prossima ci sarà davvero.
Compagnone raccomandava alla propria Ombra di agire proprio come, in vita, non gli era riuscito: «Sii diplomatico. Anche l’«Oltremondo» si regge sui cardini ben oleati della Diplomazia. Adopera anche tu, di conseguenza, locuzioni lievi e sfuggenti». È proprio Compagnone a dirlo, proprio lui che non conosceva mezzi termini e non perdeva occasione per mostrare il proprio carattere polemico e la propria vena provocatoria. E continua: «E se, per caso, letichi con una delle tante Ombre con le quali coabiti, non gridarle, di grazia: A li mortacci tua, al modo dei Romani, né urlare: All’anima di chi ti è morto, come sogliono i Napolitani. Al più, un tenuamente vivace, ben modulato “vaffan...”. E se quell’ombra ribatte: Vacci te, sarete alla pari, e delicata tolleranza sociolinguistica oltretombale verrà instaurata tra voi con fraterni sorrisi». La pace raggiunta sarà completa in tutti i sensi..., il perché è presto detto: «Non ti opprima l’ardua memoria del Sesso. In un «Oltremondo» governato da dèi sessuofobici, la Virtù ripugna da brame e appetiti, e Angioli asessuati recidono falli e vanificano vulve, onde creare un falansterio castrato, compatto, omogeneo».
Anche la iettatura è presente nelle raccomandazioni di questo incallito illuminista napoletano, che soggiunge, sempre rivolto a sé stesso: «Smettila, adesso, di essere agnostico nei confronti della iettatura e degli iettatori. Come ormai puoi constatare dal tuo stato presente, essi esistono, funzionano, son loro che finiscono per avere sempre la meglio».
«Non assumere più pose da anarchico, non chiedere più libertà, ora che sei condannato a giacere sotto il Celeste Tallone» è scritto ancora nel manualetto, che più avanti riporta un’altra delle sue raccomandazioni (in tutto sono 26): «Se ti dovessero cogliere momenti d’iroso sconforto, non dare nel vecchio grido del Napolitano che fosti, e che tuttora echeggia in tutta Partenope: Mannaggia la Morte!».
Compagnone non trascura un riferimento ai premi letterari: «Con aria rispettosa e adorante, va’ a rendere omaggio ai tuoi Avi. Raccontagli panzane: che, per esempio, sei stato segnalato al Campiello, allo Strega, al Viareggio...». Un consiglio espresso in modo bonario, non con lo spirito ironico e caustico usato, invece, in altre sue sortite, come in questo epigramma:
Dei premi letterari non insultar la giostra, ché mica è cosa tua, ma solo Cosa Nostra.
O in quest’altro sullo stesso argomento (sono entrambi contenuti in Che Puzo! Epigrammi e non sense, un volumetto di epigrammi pubblicato da Scheiwiller nel 1973): Lei piange, cocco bello! Fatto fuori allo Strega? Escluso dal Campiello? No, signora, assai peggio: Mi hanno dato il Viareggio! Ritornando all’insolito manualetto, vi si ritrova ancora un Compagnone intento a giocare con un altri allegri avvertimenti alla propria Ombra: «Scherza coi Santi: non hai più nulla da perdere né da temere» e ancora: «Se il rimpianto della vita talora ti assalga, e delle sue gioie; e se ti colga disìo del sole e della luna e del mare; e delle gaie fanciulle che ti recarono ridenti carezze (e ingenue corna); e se poi dovessi rivederle mutate in orrifiche larve, fa’ di rintracciare l’italico Vate il quale intonava: Non è ver che sia la morte/il peggior di tutti i mali, prendilo a boffettoni».
E infine l’ultima raccomandazione a mantenere la calma, «Non essere, anche nell’«Oltremondo», il nevrastenico, irascibile homo che fosti nell’arco di tua vita mortale. Contròllati, come diceva sempre la tua raffrenante signora», raccomandazione espressa immediatamente prima di congedarsi definitivamente da sé defunto con un grazioso strambotto:
Larga la foglia stretto il mantello róditi in pace entro l’avello...
Insomma, una prova in più di quella che è stata la multiforme attività di questo autore napoletano, un altro tassello di quello che non fu un suo ambizioso progetto, ma un suo naturale desiderio di sperimentare ogni genere letterario, «dal drammatico al patetico, dal realistico al surreale, dal razionale all’assurdo, dalla denuncia al gioco bizzarro, dal plebeo al letteratissimo, dal corrusco ideologico al lievitante pastiche, dal sociale al metafisico...», come Compagnone ebbe a dire di sé, ripetendo letteralmente, però, una notazione dell’amico Geno Pampaloni che gli era piaciuta molto.