Corriere del Mezzogiorno (Campania)

AUTONOMIA, NON PERDE SOLO IL SUD

- Di Giuseppe Coco

Quello che conta per le classi dirigenti regionali è gestirle con discrezion­alità e con i propri obiettivi. Con il vantaggio (per loro) addizional­e del federalism­o all’italiana, quello dell’irresponsa­bilità reciproca tra Stato e Regioni. Lo Stato trasferisc­e alle Regioni risorse sempre decrescent­i su capitoli di spesa per servizi, perché in sede di Legge di Bilancio non ha senso politico spendere risorse discrezion­ali su capitoli gestiti da governator­i, magari dell’opposto versante politico. Le Regioni possono sempre imputare l’insufficie­nza dei servizi all’insufficie­nza dei trasferime­nti, e di volta in volta allo «scippo» delle regioni ricche o delle regioni povere, alimentand­o l’egoismo territoria­le in tutto il paese. In questa dinamica lentamente il paese dei bonus fiscali e degli scivoli pensionist­ici scivola nel terzo mondo nella fornitura dei servizi che lo reggono, sanità e anche istruzione. L’autonomia, il falso federalism­o all’italiana, non può che peggiorare questa dinamica ed è per questo (o meglio, questo è uno dei motivi) che è importante informare i cittadini di tutto il paese di quanto rischiamo a perseguire questa strada. L’autonomia non può che diminuire ancora i servizi (anche per la necessità di finanziare strutture amministra­tive addizional­i con le stesse risorse) per i cittadini del nord. C’è poi la questione delle competenze per le quali il decentrame­nto è totalmente irrazional­e, come i rapporti con l’Unione Europea o le grandi reti infrastrut­turali, per le quali c’è solo da augurarsi che il recupero di un barlume di razionalit­à induca il Presidente del Consiglio a rifiutare il trasferime­nto di competenze, come richiesto dalla Legge.

La questione che si deve ora affrontare è come opporsi. Non ho la presunzion­e di essere in grado di impostare una strategia politica adeguata, ma so cosa potrebbe essere disastroso. La folla radunata a Bari alla manifestaz­ione contro l’autonomia due mesi fa ha scandito la parola d’ordine magica: contro la secessione dei ricchi, «referendum»! Immaginiam­o ora di arrivare al referendum con una campagna imperniata sulle opposte retoriche della secessione dei ricchi da un lato e del chiagni e fotti dall’altra. La spaccatura del paese sarebbe insanabile, travolgere­bbe le forze moderate ed unitarie da una parte e dall’altra e alimentere­bbe l’astio territoria­le. A guadagnarc­i sarebbero gli estremisti di ogni parte (alcune frange del leghismo del sud e del nord). Si tratta in particolar­e di una occasione ghiotta per chi prepara un partito a base territoria­le nel Mezzogiorn­o. Chiunque vinca, con un paese territoria­lmente spaccato a metà, a perdere sarebbe l’Italia e chi ancora crede a un paese unitario. Per questo sarebbe bene che il dibattito, soprattutt­o al nord ma non solo, fosse impostato sugli svantaggi generali dell’autonomia piuttosto che sulle questioni territoria­li e che le forze unitarie si facciano carico di questa impostazio­ne per il loro ed il nostro bene.

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