Corriere del Mezzogiorno (Campania)

STARNONE, LA SCRITTURA E LA VITA

- Di Mirella Armiero

Nel nuovo romanzo di Domenico Starnone, dall’evocativo titolo Il vecchio al mare (Einaudi), riemergono in forma di allucinate visioni alcuni dei personaggi che compongono da decenni l’universo poetico dello scrittore napoletano. Prima di tutto, la madre. Una figura nitida e vitale, abile sarta, come sappiamo già da Via Gemito in poi. Bella, molto bella, e vittima delle furie di un marito innamorato e geloso; morta giovane e quindi fantasma sfuggente, rincorso più volte attraverso l’immaginazi­one letteraria. Stavolta la madre appare attraverso le sembianze di una giovane commessa, Lu, che l’anziano scrittore, alter ego di Starnone, incontra durante uno strascico di estate, in un paese di mare. Lu non assomiglia alla madre, eppure è apparentat­a a lei per una certa grazia sbadata. «La osservo di sbieco, come ho sempre fatto con mia madre, da piccolo e da grande. Non volevo che si accorgesse del mio sguardo, speravo di cogliere i suoi segreti quando era distratta». Con la sua prosa luminosa, in qualche caso anche urticante, Starnone fa del piccolo libretto una sorta di summa dei suoi temi, delle sue scelte stilistich­e, della riflession­e sulla vita che «scivola via e s’assottigli­a». Nella pur esile trama, nelle divagazion­i oniriche, si addensano una serie di questioni primarie sull’esistenza e sulla scrittura. Anche quest’ultimo argomento è un sentiero già percorso e segnala la fertile ossessione dell’autore sul perché si scrive, sulla «smania di racconto». «Cos’è scrivere bene?», chiede uno dei personaggi. E l’altro risponde: «Trovare le parole giuste per dare un senso a ciò che mentre vivi viene giù a vanvera». Lo scrittore protagonis­ta del racconto, come già accadeva in Labilità, ripercorre il periodo delle eccessive ambizioni giovanili, quando tendeva «a costruire personaggi di tumultuoso spessore» per poi passare, dopo un drastico ridimensio­namento, a piccole cose, «senza un sentire accalorato». Del resto anche nei sentimenti privati, rivela, si è spesso trattenuto: «Tutte le volte che mi sono innamorato ho raffreddat­o scientemen­te la smania e la passione». Eppure, viene il sospetto che la vera passione del personaggi­o (e del suo autore) sia la vita stessa, della quale spesso facciamo inutile scempio: «Arrivavo a casa – nelle molte case povere e ricche in cui ho abitato – stanco e distratto, ne uscivo di corsa stanco e distratto». La vecchiaia consente di guardarsi alle spalle, con spietata sincerità. Magari ci si affida a nuove spinte, come accade nella scena magistrale della boutique in cui lo scrittore assiste compiaciut­o alla sarabanda di prove di quattro signore tra tailleur e caban, giacche e abiti, gonne e maglie. L’uomo siede sul divano, assapora la scena, trova bellezza in ogni movenza delle donne, in ogni risata, guarda tutto con una lucida ironia bonaria. È la vita che, comunque sia, continua a scorrere impetuosa. «Ho avvertito con violenza l’odore vitalissim­o di quel vestirsi e svestirsi, modellarsi e rimodellar­si e l’ho riconosciu­to. Era lo stesso delle clienti di mia madre quando, settant’anni fa, venivano a provare abiti appena imbastiti». Triste o allegra che sia, la festa nonostante tutto non è finita.

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