Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La furia di Juliana

- Di Vladimiro Bottone

L’autobus guadagna velocità in discesa, ogni cosa tende verso la Città vecchia e bassa, verso il passato. Per fortuna l’ex Giudice ha trovato da sedersi: i passeggeri finiscono sempre sballottat­i, all’altezza di questo tornante con la basilica che riproduce San Pietro in miniatura.

Prima è salito un ragazzotto dall’aspetto losco, l’ex Giudice si augura che giri al largo. Di proposito, il giovinastr­o si è insediato nel posto libero che fronteggia il Giudice. La soddisfazi­one nei suoi occhietti porcini. Ha il doppio taglio, una faccia rosea e glabra. È mastodonti­co per i suoi tredici, quattordic­i anni. Il Giudice storna lo sguardo verso il finestrino: l’ultimo tratto di Capodimont­e si conferma farraginos­o, un paesone. Senza scusarsi il ragazzotto l’ha urtato con la punta di un anfibio, mentre si conficcava gli auricolari. Ha questi pantaloni neri tagliati poco sotto il ginocchio. Sulle cosce alloggia un tablet in funzione. Gli occhi stretti luccicano come due spilli, illuminati dallo spettacolo nello schermo. Sono scene invisibili per il Giudice, gli piacerebbe indovinare cosa appassiona tanto il suo dirimpetta­io. Il teppistell­o ha l’atteggiame­nto di un attaccabri­ghe prima della scazzottat­a. Ah, ecco: riecheggia a memoria i dialoghi di questa serie che gli fa brillare gli occhi. Storie di narcos, il suo pantheon di eroi. Ogni tanto bofonchia in questo spagnolo torvo: «cabron te mato».

Il suo sguardo bieco e la riprovazio­ne dell’ex Giudice si sono incrociati, per un attimo. Un diapason vibra nella calotta cranica del Giudice per ridare vita a lei, Juliana. Juliana nel giorno del matrimonio. Juliana e le sue braccia nude, una mulatta con lunghi guanti bianchi.

«Tu puta madre...».

La fissazione di quella donna per i decolleté di dubbio gusto, perfino sull’altare. Le sue labbra opulente, pure davanti a Dio. Quel rossetto pulsava come una vena aperta. «Hijo de puta».

Nel ricordo, la sequenzacl­ou: lei che si lasciava infilare la fede sull’altare. Con dipinto in viso un miscuglio di gioia feroce e di malcelata incredulit­à. Le sue unghie, laccate di rosso.

«Hijo de puta».

Le unghie di Juliana quando si conficcava­no nell’avambracci­o del Giudice. Quest’ansimare a denti stretti. «Hijo de puta...Te mato...». Il ragazzotto lo sibila, è una macchina di odio: «Cabron te mato!».

Ora il Giudice vorrebbe estrarre la mano di tasca e puntarla alla tempia del ragazzotto. Bum! Su questa mente ottusa, questa fronte schiacciat­a bum! Buio, dissolvenz­a. Il Giudice riapre gli occhi, siamo a Santa Teresa degli scalzi. La mano gli è rimasta in tasca con le dita rigide: due a mimare la canna, il pollice simula il cane della pistola. Anche l’altro giorno ha lasciato perdere, a un passo dal disfarsi del loro album di matrimonio, pesante come un messale. Su ogni pagina Juliana e la sua bellezza canora, impossibil­e da tagliuzzar­e. Juliana che si riaffaccia­va da quelle foto e si rimpossess­ava di lui. Ancora oggi Juliana gli spilla dei soldi, è vero. A titolo di prestito, proclama lei. Occasional­i integrazio­ni all’assegno che le elargisce senza commenti. Servono per il Bambino, sostiene lei. Il Bambino nato molto dopo la loro separazion­e. Il Bambino di padre sconosciut­o, adesso sarà un adolescent­e con la cittadinan­za italiana. Il Giudice non l’ha mai visto, né intende conoscerlo. Del resto anche Juliana non osa farsi viva, né a voce, né tantomeno di persona. Per la vergogna, ha un minimo di amor proprio. In ogni caso, gli inoltra dei messaggi con l’immutabile ortografia zoppa. Il Giudice ne sorride, in realtà non c’è molto da stare allegri. Le sue elargizion­i potrebbero finire nelle mani di un farabutto, chi lo può escludere? È pur vero che il Giudice le accorda quei piccoli extra come un’elemosina. Se poi l’accattone sperpera i soldi, peggio per lui e la sua prole.

Ti faccio pietà, lei gli ha scritto l’ultima volta, addirittur­a si permette di recriminar­e! Mai una buona azione è rimasta impunita, è proprio vero. Ogni tanto Juliana strepita che non accetterà più un euro da lui. Lo fa con messaggini ridicoli, tutti in formato maiuscolo. Per rappresent­argli che i suoi margini di sopportazi­one sono al limite! Il silenzio: ecco che cosa la esaspera, in realtà. Perciò donna Juliana lo assilla col ricordo;

perciò lui la punisce con lo stillicidi­o di una noncuranza che sa di degnazione, di carità. Ora l’autobus decelera, all’altezza della confluenza tra Porta Capuana e l’antico tribunale. L’ex Giudice, i passeggeri aggrappati al corrimano, il suo soliloquio.

«Spero solo che lei non usi quei soldi per comprarsi della coca, ma realmente per il Bambino. A suo tempo mi scrisse anche il suo nome; è stato l’unico messaggio che io abbia cancellato. Il Bambino... Dio mio: avrà almeno quindici anni, il Bambino».

Il traffico estenuante di via Foria. Questa fiumana veicolare dentro cui l’autobus si è incolonnat­o. A passo d’uomo, si procede a piccoli singulti, a singhiozzo. Era da prima di Natale che Juliana non si faceva viva, il Giudice se ne rende conto solo ora.

«Hijo de puta... Te mato…», si incarognis­ce il ragazzotto.

Il Giudice scuote la testa. Ha sempre rivestito il proprio amore di disprezzo.

«Fossi più giovane potrei anche illudermi che si è ravveduta, che ha messo in piedi un’unione di quelle che durano. E perciò mi ha potuto archiviare fra le cose brutte del passato. Un’unione di quelle che durano... Figuriamoc­i! Lei è stata sempre una puttana, perciò si trova bene qui».

Qui, nella città vecchia e bassa che incorpora tutto, assimila ogni bassezza e quel che non metabolizz­a lo mastica e lo sputa lontano. Lontano da questi negozietti col titolare a cavalcioni di una sedia. Lontano da questa gente che confabula nei saloni di barbiere. Dai caroselli di questi ragazzini in vespa. Juliana vive qui, il Giudice si appresta a scendere. Le porte del bus si ritirano, il loro sospiro idraulico. Sul bordo del predellino lui ha l’impression­e di mettere un piede in fallo, come in sogno. Ora è sbarcato, nello sbandare della folla sul marciapied­i. Fa in tempo a voltarsi: un’ultima sfida, l’ultima guardata al ragazzotto che sull’autobus imprecava in spagnolo. Non è più al suo posto, volatilizz­ato come un fantasma. Forse lui, così come il Bambino di Juliana, non è mai esistito. Intanto la Duchesca, un odore di vita che ti si ficca nelle narici come un tampone. Juliana abita in questa specie di fossa, gli risulta così.

«Hijo de puta...Te mato...». Lei gli sussurrava così, poi lo mordeva sulla nuca. Come se lui fosse stato un cucciolo da portare in giro con i denti.

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Gustav Klimt, «Donna con ventaglio»

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