Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La moda dei rettori che si «fingono» giovani
E credo lo dimostri da anni proprio questa rubrica, per l’attenzione che costantemente dedica nelle sue riflessioni su Napoli e il Sud proprio a questi aspetti apparentemente secondari della vita sociale, specialmente giovanile, ma in realtà veri e propri segni dello spirito del tempo.
E non è neanche indizio di senilità (non ce ne sarebbe bisogno, ne mostro già innumerevoli altri) perché non credo di avere una idea medievale dell’università. Purché ci si intenda sul significato del termine. Che, a leggere la Treccani, definisce una «istituzione e struttura didattica e scientifica di ordine superiore, pubblica o privata, articolata in facoltà, corsi di lauree, dipartimenti e istituti, e in scuole speciali, che ha il compito di rilasciare titoli accademici e professionali giuridicamente riconosciuti».
Ora, con tutto il rispetto per il rettore Matteo Lorito che ha così risposto alla critica di Gratteri, mi viene da chiedergli che cosa c’entrino le funzioni proprie dell’università, appena elencate, con l’ambizione di «mettere insieme le due Napoli», oppure «di gettare un ponte in modo da dimostrare ai tanti ragazzi che ascoltano la musica di Geolier che esiste un’alternativa». E poi: un’alternativa a che? A diventare un Geolier? E perché mai, che ci sarebbe di male? O intende un’alternativa a diventare camorrista? Non si accorge del pregiudizio implicito in un’affermazione del genere, che dà per scontato il fatto che lui e la sua università siano la Napoli buona e quella di Geolier la Napoli da redimere?
Oppure ancora può spiegarci che cosa c’entrino i compiti di un’università con la presunzione di «aprirsi al territorio e di sforzarsi di comprendere meglio le realtà più complesse, le periferie, l’emarginazione, la lontananza dalla città borghese»? Non capisco: state tentando di attrarre i giovani che non avrebbero alternativa (e per questo li invitate a Scampia, diventata una specie di passe-partout del «buonismo»)? O state cercando di attrarre i giovani della «città borghese», cui volete insegnare che c’è anche la periferia di Geolier?
Mi sembra un pasticcio di retorica e buoni propositi, che comunque nulla c’entra con la missione dell’università, che è insegnare.
Purtroppo, il prestigioso ateneo napoletano (compie ottocento anni, auguri!) non è l’unico ad essere più o meno velocemente scivolato nella pratica di inventarsi «eventi» spettacolari al solo scopo di richiamare l’attenzione e affettare impegno sociale. Si è cominciato con le lauree «honoris causa» a divi della politica e del cinema, e lì ancora ancora un aggancio universitario c’è perché vi si consegna un titolo accademico, quanto meritato è poi tutto da vedere; e inoltre il «laureato» deve almeno tenere una prolusione, un discorso, magari scriverselo, e dunque qualche concetto per forza esce fuori. Poi si è proseguito con gli show e le sfilate di moda, che sa tanto di «made in Italy». Adesso si è arrivati ad assegnare lezioni alle influencer, nonostante le cronache recenti ci abbiano ben illustrato di che oro luccichi quel business. Da ultimo, poi, le università si sono messe anche a fare politica, sotto la pressione di movimenti (composti forse da studenti, sì, ma attempati, come Giorgio Amendola chiamava i professionisti delle manifestazioni) cui concedono di boicottare quello e questo, manco gli atenei fossero degli Stati sovrani tenuti ad avere una loro politica estera.
Il pretesto di tutte queste cose è fingersi «al passo coi tempi», fare del «giovanilismo» la propria religione. Cosa che in genere accade proprio a chi ha invece perso il contatto con i tempi, sa di essere «vecchio» e quindi cerca scorciatoie facili per mostrarsi «moderno». Penso che esattamente questo stia accadendo alle nostre università (non tutte per fortuna): sempre più incapaci di attirare e interessare i giovani, di soddisfarne l’esigenza primaria di cultura e di renderne così speciale la vita, li inseguono sulle strade già abbondantemente battute nella loro esistenza quotidiana, sulle quali non hanno peraltro alcun bisogno di essere istruiti.
Giù le mani da Geolier, dunque, quando è a Sanremo, che è la sua cattedra. Ma giù le mani dall’università, dove in cattedra ci deve andare chi ha da insegnare agli studenti qualcosa di più di una rima baciata in dialetto (peraltro di incerta provenienza).