Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Acerbi e la frase incriminata Assoluzione pilatesca
Equesto nel calcio di élite, ma il problema si pone di continuo nel pallone a tutti i livelli, fin nell’ultimo campo di paese. È anche vero che, se si rimane alle parole pubblicate dai media, l’autodifesa di Acerbi non è stata priva di ombre (i buffetti di scuse a JJ dopo che questi ha parlato con l’arbitro), così come forse ha pesato in suo favore l’atteggiamento da gentiluomo tenuto dal giocatore del Napoli che nel dopo partita ha sdrammatizzato. In altri termini: non ha speculato. C’è anche stato qualche «flatus vocis» da parte interista, anche se non a livello ufficiale, mentre da parte del Napoli si è osservato un corretto silenzio. La vera interferenza purtroppo è venuta dal commissario tecnico Luciano Spalletti che con le sue dichiarazioni ha di fatto «preassolto» il giocatore. A tutti questi argomenti si possono opporre obiezioni comprensibili, ma c’è dell’altro.
Se la parola dell’offeso non vale senza altri sostegni probatori, allora il giocatore del Napoli potrebbe apparire come colui che ha commesso il reato di calunnia. Rinviamo il mite JJ a giudizio davanti al tribunale ordinario? Il Giudice lo salva dicendo che la discriminazione è stata percepita solo dall’offeso, insomma hai capito male, voleva solo farti nero di botte. Poco prima però il testo di Mastrandrea riconosce che il contesto si prestava alla commissione del fatto, sembra quasi che dica: io ti credo ma non ho le prove. Qui, come dicono gli americani, siamo davvero sul ghiaccio sottile, in quella zona dove si respira una forte incertezza, visto che a volte nei tribunali la parola della vittima viene considerata sufficiente per procedere. Ma ci rendiamo conto che si tratta di fattispecie diverse da un insulto, sia pure gravissimo. La seconda questione: Il dottor Mastrandrea ci dice che né arbitri né giocatori hanno sentito nulla. Attenzione: stiamo parlando di stadi. Decine di migliaia di persone che rumoreggiano, urla dei giocatori in campo, nervi a fior di pelle, contatti ravvicinati. Se ci fermiamo alla decisione di ieri, dobbiamo rassegnarci al fatto che ciò che avviene fra i singoli è questione privata, non censurabile: sarebbe di certo una soluzione «in pejus» del problema.
La contraddizione è tutta dentro il calcio, la sua cultura e il suo «dover essere». In altre parole, da oggi come vogliamo che sia il calcio? Ci vengono in mente tutti i problemi che hanno avuto gli arbitri che si sono azzardati a sospendere un match per cori razzisti. E quindi si può dire che questo sport fa una fatica terribile a riconoscere le sue piaghe e le sue resistenze? Nessuna polemica col giudice sportivo, ma da oggi sarà più difficile curarle, quelle piaghe. Basta che puzzino con discrezione.