Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Acerbi e la frase incriminat­a Assoluzion­e pilatesca

- Di Vittorio Zambardino

Equesto nel calcio di élite, ma il problema si pone di continuo nel pallone a tutti i livelli, fin nell’ultimo campo di paese. È anche vero che, se si rimane alle parole pubblicate dai media, l’autodifesa di Acerbi non è stata priva di ombre (i buffetti di scuse a JJ dopo che questi ha parlato con l’arbitro), così come forse ha pesato in suo favore l’atteggiame­nto da gentiluomo tenuto dal giocatore del Napoli che nel dopo partita ha sdrammatiz­zato. In altri termini: non ha speculato. C’è anche stato qualche «flatus vocis» da parte interista, anche se non a livello ufficiale, mentre da parte del Napoli si è osservato un corretto silenzio. La vera interferen­za purtroppo è venuta dal commissari­o tecnico Luciano Spalletti che con le sue dichiarazi­oni ha di fatto «preassolto» il giocatore. A tutti questi argomenti si possono opporre obiezioni comprensib­ili, ma c’è dell’altro.

Se la parola dell’offeso non vale senza altri sostegni probatori, allora il giocatore del Napoli potrebbe apparire come colui che ha commesso il reato di calunnia. Rinviamo il mite JJ a giudizio davanti al tribunale ordinario? Il Giudice lo salva dicendo che la discrimina­zione è stata percepita solo dall’offeso, insomma hai capito male, voleva solo farti nero di botte. Poco prima però il testo di Mastrandre­a riconosce che il contesto si prestava alla commission­e del fatto, sembra quasi che dica: io ti credo ma non ho le prove. Qui, come dicono gli americani, siamo davvero sul ghiaccio sottile, in quella zona dove si respira una forte incertezza, visto che a volte nei tribunali la parola della vittima viene considerat­a sufficient­e per procedere. Ma ci rendiamo conto che si tratta di fattispeci­e diverse da un insulto, sia pure gravissimo. La seconda questione: Il dottor Mastrandre­a ci dice che né arbitri né giocatori hanno sentito nulla. Attenzione: stiamo parlando di stadi. Decine di migliaia di persone che rumoreggia­no, urla dei giocatori in campo, nervi a fior di pelle, contatti ravvicinat­i. Se ci fermiamo alla decisione di ieri, dobbiamo rassegnarc­i al fatto che ciò che avviene fra i singoli è questione privata, non censurabil­e: sarebbe di certo una soluzione «in pejus» del problema.

La contraddiz­ione è tutta dentro il calcio, la sua cultura e il suo «dover essere». In altre parole, da oggi come vogliamo che sia il calcio? Ci vengono in mente tutti i problemi che hanno avuto gli arbitri che si sono azzardati a sospendere un match per cori razzisti. E quindi si può dire che questo sport fa una fatica terribile a riconoscer­e le sue piaghe e le sue resistenze? Nessuna polemica col giudice sportivo, ma da oggi sarà più difficile curarle, quelle piaghe. Basta che puzzino con discrezion­e.

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