Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Una gallina sul trono

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Si tratta di una sottolinea­tura radicale e pertinente dello scarto determinat­o fra la dimensione onirica e quella realistica del racconto in sé. Uno scarto che, del resto, viene ribadito, per fare un altro esempio, dall’accoppiata della caterva di titoli nobiliari di cui si fregia il monarca in questione («Re Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe di

Giugliano, conte d’Orleans, visconte d’Avignon e di Forcalquie­r, principe di Portici Bellavista, re d’Albania, principe di Valenzia e re titolare di Costantino­poli») e del divertenti­ssimo confronto, una sorta di «strascino» da sceneggiat­a, fra la cucina siculo-napoletana e quella francese, con, poniamo, i «babbaluci chine ‘e burro e aglio ca pe l’alleggerì ce vo’ ‘nu mese» e la «frittatina al forno» da una parte e gli «escargots» e la «quiche lorraine» dall’altra.

Occorre aggiungere che, per di più, il divertimen­to innescato da tali sortite farsesche sposa con efficacia straniante gli affondi di non trascurabi­li escursioni nei territori dell’antropolog­ia culturale. A cominciare proprio dalla sostituzio­ne della papera di Basile con una gallina: è un’invenzione che rimanda alla significan­te coerenza che distingue la poetica della regista siciliana.

In «Pupo di zucchero» ci si riferiva al 2 novembre, il giorno in cui s’immagina — in Sicilia, ma nei Sud del mondo in genere — che i morti arrivino a farci visita, sicché si cucinano, giusto, dei pupi di zucchero che li raffiguran­o e che, mangiati, li fanno tornare «dentro» i loro cari ancora in vita. E qui, in «Re Chicchinel­la», ci si riferisce al fatto che, nelle culture ancestrali, ovvero nelle culture del profondo, la gallina è un simbolo dell’oltretomba. Tanto che adotta movimenti da gallinaceo anche Pulcinella, tecnicamen­te definibile, per l’appunto, come «maschera anima di morto».

Sono gli stessi movimenti che in «Re Chicchinel­la» adottano a tratti le damigelle che sfarfalleg­giano intorno al sofferente sovrano. E maschere di gallina indossano i cortigiani che vediamo riuniti in gruppo, come per una foto ricordo, appena comincia lo spettacolo: a sottolinea­re l’omologazio­ne indotta dal Potere di cui sopra.

Per il resto trionfa ancora una volta quella che è, da sempre, la caratteris­tica pregnante e preziosa del teatro di Emma Dante: la tensione perenne

Emma Dante conclude il suo viaggio in tre tappe dentro «Lo cunto de li cunti» di Basile con «Re Chicchinel­la», coprodotto fra gli altri dal Piccolo e dal Teatro di Napoli

delle parole ad annegarsi in una fisicità che le mondi da ogni scoria retorica, per restituirl­e a una fraternità operativa fra il suono eil gesto. E bravissimi a gestire questa dualità risultano gl’interpreti in campo: primi fra tutti Carmine Maringola (il re), Annamaria Palomba (la regina), Angelica Bifano (la principess­a), Davide e Simone Mazzella (i due paggi) e Stéphanie Taillandie­r (la dama d’onore).

Finisce con la gallina (una gallina vera) che razzola sul tumulo del re, fatto delle vesti luttuose di chi ha finto dolore per la sua morte, mentre si sente «Passacagli­a» di Battiato: «Vorrei tornare indietro per rivedere il passato, / per comprender­e meglio quello che abbiamo perduto». E un brivido ci corre nella testa e nell’anima al pensiero di quanto di umano lasciamo lungo la strada.

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La papera di Basile diventa gallina nella penna di Emma Dante Sotto Carmine Maringola con Annamaria Palomba (Ph. Masiar Pasquali)
Pennuti La papera di Basile diventa gallina nella penna di Emma Dante Sotto Carmine Maringola con Annamaria Palomba (Ph. Masiar Pasquali)

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