Corriere del Mezzogiorno (Campania)
AUTONOMIA DIFFERENZIATA FARE I CONTI CON IL PASSATO
Opportunamente, a pareggiare i conti provvede ora l’ultimo numero di «Limes». Ma la rivista diretta da Lucio Caracciolo non dice solo questo. Per «Limes», l’Autonomia ci porterà diritti diritti «nella terra di Hobbes», degli uomini come lupi, in «Caoslandia», dove i nostri porti saranno in balia dell’ attivismo russo e turco, dove alto sarà «il rischio che il Meridione sviluppi forme di particolarismo etnico» e dove è assai probabile che «la secessione dei ricchi si ribalti dialetticamente nella secessione dei poveri». Addio Stato, addio Italia, dunque. E tante grazie «all’incoscienza strategica» del nostro Paese e «ai disturbi psicotici, alle amnesie e alle false percezioni» delle sue classi dirigenti. Apocalisse a parte, colpisce questa accentuazione sudista del rischio incombente, in evidente controtendenza con il più volte indicato pericolo «lombardo-veneto».
Ma è la supposta equivalenza destra-sinistra ora il punto, perché almeno una differenza c’è e andrebbe colta: riguarda la pratica, solitamente scomoda, di confrontarsi con il proprio passato. Rispetto all’Autonomia, questa volta non è la destra a sfuggire. Così, quando la sinistra, polemicamente, cala la domanda su come la destra statalista possa approdare a una soluzione così radicale come l’autonomia regionale, la risposta arriva. Ed è il premierato. La destra non abolisce le Regioni, come riteneva giusto un decennio fa. Non si muove in coerenza con l’antiregionalismo di Almirante e con il suo ostruzionismo parlamentare degli anni Settanta. Ma ora dice di voler dare maggiore stabilità al governo centrale, ipotizza un bilanciamento nuovo tra il centro e la periferia del Paese. Certo, il rischio è di minare il bilanciamento che già c’è al vertice dello Stato, tra Quirinale e Palazzo Chigi. E di questo infatti si discute. Tuttavia, ciò non toglie che quando la destra solleva la «sua» questione, quella su perché la sinistra abbia cambiato opinione sull’Autonomia, nulla o quasi arriva invece all’orecchio. Addirittura, ancora non si è udita la voce di un «reo confesso», di qualcuno che abbia il coraggio di dire «eccomi, quella legge la volli io». Sul punto, la sinistra si ripara sostenendo che servirebbe a poco, ormai, rinvangare il passato. Ma è davvero così che stanno le cose? Indirettamente, «Limes» affronta il problema in un altro articolo dedicato al tema più generale della crisi della democrazia. Ed è qui che sottolinea quanto «l’ignoranza voluta del passato» possa portare «alla falsificazione del presente».
Il titolo è suggestivo: «Tina o Tara?», ma il ragionamento è calzante e merita attenzione. Tina sta per «There is no alternative» (la strada è obbligata, famosa frase di Margaret Thatcher). Tara sta per «There are reasonable alternatives» (ci sono ragionevoli alternative). E la tesi è che convincersi dell’ ineluttabilità del reale è l’unico modo certo per rimanerne schiavi. Fatti i debiti mutamenti, passiamo ora dall’astratto al concreto. Argomentando sull’Autonomia, la sinistra può legittimamente dire che il premierato è una toppa peggiore del buco. Può anche vantarsi del fatto che a destra c’è chi condivide tale giudizio (ad esempio Marcello Veneziani su «La Verità»: «Si crede davvero che basti il premierato per salvare l’Italia, e riassumere l’amor patrio nel consenso alla premier? Pensateci, prima di imbarcarvi in storiche cappellate da cui è difficile poi tornare indietro»). Ma il premierato è comunque la risposta della destra alle proprie contraddizioni. Viceversa, qual è la via d’uscita della sinistra? Se la risposta è che l’Autonomia non è più una soluzione ed è meglio lasciare tutto cosi com’è, divario NordSud compreso. Se la Costituzione non può che rimanere congelata, altrimenti si va tutti sulle barricate. Se fare i conti con il proprio passato è un obbligo che spetta solo agli avversari politici. Se è così che devono necessariamente andare le cose, allora lo si dica chiaramente: è l’effetto Tina quello che la sinistra vuole. Ma assumere questa prospettiva - spiega «Limes» - vuol dire «non congiungere i punti del passato, del presente e del futuro», «non costruire linee nel Tempo», «non vedere altro che sé», «pretendere di essere universale» e, come tale, «di detenere il monopolio della verità». In più, vale la lezione di Almirante. Fece la sua figura in Parlamento, parlò contro il regionalismo per ore ed ore. Ma con quale risultato? Nessuno.