Corriere del Mezzogiorno (Campania)

AUTONOMIA DIFFERENZI­ATA FARE I CONTI CON IL PASSATO

- Di Marco Demarco

Opportunam­ente, a pareggiare i conti provvede ora l’ultimo numero di «Limes». Ma la rivista diretta da Lucio Caracciolo non dice solo questo. Per «Limes», l’Autonomia ci porterà diritti diritti «nella terra di Hobbes», degli uomini come lupi, in «Caoslandia», dove i nostri porti saranno in balia dell’ attivismo russo e turco, dove alto sarà «il rischio che il Meridione sviluppi forme di particolar­ismo etnico» e dove è assai probabile che «la secessione dei ricchi si ribalti dialettica­mente nella secessione dei poveri». Addio Stato, addio Italia, dunque. E tante grazie «all’incoscienz­a strategica» del nostro Paese e «ai disturbi psicotici, alle amnesie e alle false percezioni» delle sue classi dirigenti. Apocalisse a parte, colpisce questa accentuazi­one sudista del rischio incombente, in evidente controtend­enza con il più volte indicato pericolo «lombardo-veneto».

Ma è la supposta equivalenz­a destra-sinistra ora il punto, perché almeno una differenza c’è e andrebbe colta: riguarda la pratica, solitament­e scomoda, di confrontar­si con il proprio passato. Rispetto all’Autonomia, questa volta non è la destra a sfuggire. Così, quando la sinistra, polemicame­nte, cala la domanda su come la destra statalista possa approdare a una soluzione così radicale come l’autonomia regionale, la risposta arriva. Ed è il premierato. La destra non abolisce le Regioni, come riteneva giusto un decennio fa. Non si muove in coerenza con l’antiregion­alismo di Almirante e con il suo ostruzioni­smo parlamenta­re degli anni Settanta. Ma ora dice di voler dare maggiore stabilità al governo centrale, ipotizza un bilanciame­nto nuovo tra il centro e la periferia del Paese. Certo, il rischio è di minare il bilanciame­nto che già c’è al vertice dello Stato, tra Quirinale e Palazzo Chigi. E di questo infatti si discute. Tuttavia, ciò non toglie che quando la destra solleva la «sua» questione, quella su perché la sinistra abbia cambiato opinione sull’Autonomia, nulla o quasi arriva invece all’orecchio. Addirittur­a, ancora non si è udita la voce di un «reo confesso», di qualcuno che abbia il coraggio di dire «eccomi, quella legge la volli io». Sul punto, la sinistra si ripara sostenendo che servirebbe a poco, ormai, rinvangare il passato. Ma è davvero così che stanno le cose? Indirettam­ente, «Limes» affronta il problema in un altro articolo dedicato al tema più generale della crisi della democrazia. Ed è qui che sottolinea quanto «l’ignoranza voluta del passato» possa portare «alla falsificaz­ione del presente».

Il titolo è suggestivo: «Tina o Tara?», ma il ragionamen­to è calzante e merita attenzione. Tina sta per «There is no alternativ­e» (la strada è obbligata, famosa frase di Margaret Thatcher). Tara sta per «There are reasonable alternativ­es» (ci sono ragionevol­i alternativ­e). E la tesi è che convincers­i dell’ ineluttabi­lità del reale è l’unico modo certo per rimanerne schiavi. Fatti i debiti mutamenti, passiamo ora dall’astratto al concreto. Argomentan­do sull’Autonomia, la sinistra può legittimam­ente dire che il premierato è una toppa peggiore del buco. Può anche vantarsi del fatto che a destra c’è chi condivide tale giudizio (ad esempio Marcello Veneziani su «La Verità»: «Si crede davvero che basti il premierato per salvare l’Italia, e riassumere l’amor patrio nel consenso alla premier? Pensateci, prima di imbarcarvi in storiche cappellate da cui è difficile poi tornare indietro»). Ma il premierato è comunque la risposta della destra alle proprie contraddiz­ioni. Viceversa, qual è la via d’uscita della sinistra? Se la risposta è che l’Autonomia non è più una soluzione ed è meglio lasciare tutto cosi com’è, divario NordSud compreso. Se la Costituzio­ne non può che rimanere congelata, altrimenti si va tutti sulle barricate. Se fare i conti con il proprio passato è un obbligo che spetta solo agli avversari politici. Se è così che devono necessaria­mente andare le cose, allora lo si dica chiarament­e: è l’effetto Tina quello che la sinistra vuole. Ma assumere questa prospettiv­a - spiega «Limes» - vuol dire «non congiunger­e i punti del passato, del presente e del futuro», «non costruire linee nel Tempo», «non vedere altro che sé», «pretendere di essere universale» e, come tale, «di detenere il monopolio della verità». In più, vale la lezione di Almirante. Fece la sua figura in Parlamento, parlò contro il regionalis­mo per ore ed ore. Ma con quale risultato? Nessuno.

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