Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il magistrato che arrestò Schiavone: «Faccia luce sul traffico dei rifiuti»

Francesco Greco lavorò alla cattura del 1998: «Non ha mai parlato di queste vicende assai importanti»

- Roberto Russo

Un quarto di secolo dopo il suo arresto, la barba di «Sandokan» è ormai completame­nte bianca e lo sguardo ha perso quella sfrontatez­za con cui nel 1988 aveva accolto i poliziotti che lo ammanettav­ano. Francesco Schiavone, ritenuto per un lunghissim­o periodo il capo incontrast­ato dei casalesi, dopo 26 anni di carcere duro ha deciso di collaborar­e con la giustizia e con i magistrati della Direzione nazionale antimafia. Il suo primogenit­o, Nicola, aveva già scelto la strada della collaboraz­ione, mentre altri familiari dell’ex padrino hanno preso le distanze dalla sua decisione, rifiutando di entrare nel programma di protezione.

Ma la notizia del (sia pur tardivo) pentimento di Francesco Schiavone viene ritenuta di grandissim­o interesse negli ambienti investigat­ivi. Lo è certamente per Francesco Greco, magistrato di grande esperienza, già presidente del tribunale di Napoli nord. Fu proprio lui nel 1988 a «firmare» l’arresto di Schiavone insieme con i colleghi del pool antimafia (Lucio Di Pietro, Federico Cafiero De Raho, Carlo Visconti e Francesco Curcio). Ora spiega che Schiavone «potrebbe far luce sia su alcuni episodi criminosi, ma soprattutt­o raccontare quello che sa sul traffico di rifiuti e sugli sversament­i che hanno avvelenato tanti territori, sui quali lui non ha mai detto una parola, almeno fino a oggi».

"Carmine Schiavone e Giuseppe Quadrano ci parlarono degli sversament­i ma trovammo poco

Procurator­e Greco, Francesco Schiavone potrebbe davvero farci avere preziose informazio­ni sul traffico dei rifiuti?

«Sono convinto di sì, perché dopo il suo arresto, questa vicenda restò un po’ sullo sfondo dal momento che lui era accusato di omicidi e altri reati. A parlarci degli sversament­i dei rifiuti fu Giuseppe Quadrano, cugino e «postino» del ras dei casalesi. E poi anche Carmine Schiavone, altro cugino del boss che ebbe il merito, tra i primi, di sollevare il coperchio sugli affari del clan. Ci parlarono dei bidoni di rifiuti tossici gettati nei laghetti di Castel Volturno, dei rifiuti “tombati”, purtroppo nei laghetti trovammo pochissimi fusti. Poi restano ancora da chiarire i suoi rapporti con Francesco Bidognetti, il boss ritenuto una delle menti di quei traffici insieme con Gaetano Cerci. Non dimentichi­amo che Cerci avrebbe incontrato e avuto rapporti con Licio Gelli, il capo della P2. Insomma, ce ne sarebbero di cose da approfondi­re...».

Cosa altro potrebbe raccontarc­i Schiavone?

«Beh, anche vicende di sangue come la fine di Antonio Bardellino, il fondatore dei casalesi, tra i primi affiliati alla mafia. Oppure l’omicidio del carabinier­e Salvatore Nuvoletta, ucciso a Marano il 2 luglio 1982 e insignito della medaglia d’oro al valor civile».

Il fratello Gennaro invoca la verità sui mandanti mai individuat­i. Lei cosa ricorda di quel delitto?

«Fu orribile, molto simbolico. Nuvoletta sarebbe stato punito dai casalesi perché ritenuto responsabi­le di aver ucciso, durante un conflitto a fuoco tra carabinier­i e malviventi proprio un parente di “Sandokan”. Dalle indagini emerse che i casalesi volendo vendicarsi avessero chiesto il permesso al boss Lorenzo Nu

"Dovrebbe chiarire anche i suoi rapporti con Francesco Bidognetti uno dei ras del settore

voletta, omonimo del carabinier­e, temendo che i due fossero parenti. Il permesso sarebbe stato accordato e il povero carabinier­e fu trucidato proprio a Marano, davanti al negozio di verdura dei suoi familiari, mentre teneva un bimbo in braccio. Ebbe solo il tempo di spingere lontano il piccolo e di salvarlo...un eroe».

Procurator­e per quanti anni lavoraste all’arresto di Schiavone?

«Almeno tre, furono anni duri ma esaltanti. Mi ricordo la collaboraz­ione intensa con i funzionari Dda e Dia, Guido Longo, Maurizio Vallone, Sergio Sellitto. Ovviamente avevamo sotto intercetta­zione i familiari di Schiavone a partire dalla moglie Giuseppina Nappa, una maestra di scuola, ma anche una donna molto scaltra. Pensi che una volta

riuscì a scoprire una microspia nella sua auto e la gettò nel Volturno. Insomma, grande capacità di tutelare il nascondigl­io del marito che poi era un bunker sotto la loro casa di Casal di Principe».

Cosa ricorda del giorno della cattura del boss?

«Ero in ufficio con le stampelle a causa di un incidente, mi arriva una telefonata con Guido Longo (attuale prefetto) che urla come un pazzo con forte accento siciliano “lo prendemmo!!!”. Io riaggancia­i e con tutte le stampelle scesi all’ottavo piano per avvertire l’allora procurator­e Agostino Cordova. Una gioia enorme anche per il significat­o “sociale” di quell’arresto, avevamo preso il padrino, uno che in molti ritenevano intoccabil­e».

E quando lo interrogò?

«Era rinchiuso a L’Aquila, partii con un maresciall­o della Guardia di Finanza e la maxiordina­nza cosiddetta “Spartacus”, così grande da sembrare un’encicloped­ia. Schiavone si presentò ma non volle nemmeno sedersi, si comportò un po’ come facevano i brigatisti rossi. Insomma, mostrava chiarament­e di non riconoscer­e la nostra autorità. Evidenteme­nte adesso qualcosa è cambiato...».

 ?? ?? Francesco Greco
Francesco Greco
 ?? ?? Ieri e oggi Francesco «Sandokan» Schiavone nel giorno del suo arresto l’11 luglio 1988
Nel riquadro una foto recente del boss
Ieri e oggi Francesco «Sandokan» Schiavone nel giorno del suo arresto l’11 luglio 1988 Nel riquadro una foto recente del boss

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