Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Don Patriciello: «Pentito? Allora chieda perdono ai bimbi morti di cancro»
Il parroco di Caivano. Cantone: «Sveli gli intrecci con la politica»
La notizia del pentimento del capo del clan dei casalesi, Francesco ‘Sandokan’ Schiavone, ha avuto l’effetto di un terremoto. Per Raffaele Cantone, procuratore di Perugia in passato impegnato nelle inchiese sui casalesi «la speranza è che Schiavone possa parlare dei suoi rapporti con la politica e l’imprenditoria» della provincia di Caserta, anche «in riferimento anche alla Terra dei fuochi». E proprio di rifiuti e dei danni fatti dai traffici dei casalesi a migliaia di persone parla don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano: «Schiavone e i suoi ha fatto male a tutti, in particolare ai suoi figli e alla sua famiglia – afferma il sacerdote – Sono degli infelici che hanno generato infelicità. Io sono stato contento di questa notizia. Spero che dalla collaborazione passi al pentimento, che si penta con il cuore, che chieda perdono per il male che ha fatto, a Dio e a noi tutti. Ai bambini morti per il cancro, alle famiglie che vivono in un territorio avvelenato». «Spero – conclude Patriciello – che possa fare luce su tante storie rimaste ancora oscure per tutti questi anni. Io ricordo ancora quello che mi disse il cugino, Carmine Schiavone: senza gli agganci con la politica, noi saremmo rimasti solo una piccola banda di delinquenti di paese. Spero che Schiavone abbia il coraggio di essere veramente uomo e parlare».
Anche molti parlamentari a partire dal Movimento 5 Stelle e dal Pd chiede ora che vengano svelati gli intrecci tra criminalità, politici e imprenditori. «Ci aspettiamo che `Sandokan´ riveli tutti quegli intrecci tra camorra, politica, amministratori pubblici e imprenditori che hanno martoriato la Terra dei Fuochi e tutta la Campania, versando tanto sangue innocente» scrivono i commissari antimafia del M5S
Stefania Ascari, Federico Cafiero De Raho, Francesco Castiello, Michele Gubitosa, Lugi Nave e Roberto Scarpinato.
E così pure il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale che si dice «contento» anche se spera che Sandokan «possa fare luce su un periodo oscuro della nostra storia, ma che possa anche farci individuare quegli angoli ancora nascosti che possano rappresentare un pericolo futuro per la nostra gente, per la nostra economia e nostre istituzioni. Spero che le cose che dirà siano all’altezza dell’attenzione mediatica che si è scatenata attorno al pentimento». Perché senza sponde istituzionali tanta longevità criminale sarebbe stata impossibile. «Lo hanno raccontato già alcune inchieste – aggiunge il sindaco Natale – Non avrebbero potuto raggiungere quella capacità di oppressione sulla comunità e sul territorio senza rapporti stretti con una parte delle istituzioni e con il mondo imprenditoriale. Io li chiamo i ‘falsi casalesi’ – conclude il sindaco – Il clan, tra le tante nefandezze compiute nei confronti della nostra città, ci ha rubato l’identità. Per anni, il termine ‘casalese’ è stato sinonimo di criminale e non di abitante di un territorio. Il nostro obiettivo è riconquistare anche questa libertà, potendoci definire con orgoglio». Casalese con l’orgoglio di esserlo è Peppe Pagano, fondatore della Cooperativa Agropoli e del ristorante Nuova Cucina Organizzata con il quale ha sfidato l’economia criminale con quella solidale: «Sono felice – ha affermato Pagano – In primis, perché l’opinione comune era che questi boss non si sarebbero mai pentiti. Ma stanno cadendo uno dietro l’altro. Certo, qualcuno deve pagare per il male che hanno fatto alle persone e al territorio. In seconda battuta, sono felice perché spero che adesso si possa fare luce sull’intreccio tra camorra, politica e istituzioni».
Sono quelle le rivelazioni che ci si aspetta da Schiavone. Gli intrecci, le connessioni, le collusioni. «Se non sarà quello il livello delle dichiarazioni di Sandokan, allora il pentimento è inutile come quello di Iovine e di altri pentiti – continua Pagano – i casalesi avevano un’influenza a tutti i livelli. Il sistema istituzionale era quasi un sistema parallelo, di accompagnamento a quello criminale».