Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il giovanilis­mo ai nostri tempi

- Di Giancristi­ano Desiderio

Eaggiungev­a: «I giovani non devono dare fastidio, devono al più presto crescere e lavorare e lavorare sé stessi che sono umanità in formazione». Può darsi che queste parole risultino crude e antipatich­e ma la pratica di indorare la pillola, e di essere – come si dice – empatici, troppo empatici è una cattiva abitudine che danneggia i giovani invece di aiutarli perché difendendo­li oltre misura dalle esperienze della vita e del mondo li fissa nella loro temporanea eterna giovinezza e li induce a credere che il mondo – cioè Napoli, il Mezzogiorn­o, la politica e il governo, la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente – si possa giudicare con il giovanilis­mo che sa tutto senza sapere niente.

La politica della sinistra – era questo l’oggetto del “pezzo” del direttore che dice «a noi vecchi non resta molto tempo» – oscilla sempre tra gli “astratti furori” di ideali irraggiung­ibili perché menzogneri e il carrierism­o partitico senza riuscire mai a fermarsi nel mezzo con l’arte del buongovern­o che è prima di tutto l’ammissione fatta a sé stessi che il potere politico non è bello e buono se è di sinistra e brutto e cattivo se è di destra ma è utile se è accettato nel suo costituzio­nale limite.

In questo senso, la sinistra è malata di giovanilis­mo, vuole tutto e subito, confonde le sue utopie e ubbie con il mondo e quando il mondo le dà torto non accetta la lezione e dice: «Fiat iustitia et pereat mundus», sia fatta giustizia e perisca pure il mondo.

Il giovanilis­mo è la fine dell’educazione della gioventù e, dunque, della stessa politica. Paradossal­mente, il giovanilis­mo è vecchio e, infatti, la sinistra è decrepita senza essere stata giovane mentre i vecchi conservano una giovinezza interiore – la famosa “estate invincibil­e” di Camus se si volesse esagerare – proprio perché hanno imparato dalle lezioni della vita, che si prendono e non si danno diceva Pavese.

Ecco perché, forse, non si può andare nemmeno a lezione dai vecchi e, in fondo, sarebbe anche troppo facile e troppo comodo se ci si potesse rivolgere agli adulti – ai padri, alle madri, ai nonni, alle nonne – per capirci qualcosa o sapere cosa fare.

La verità è che il sapere non si trasmette da una generazion­e all’altra come si passano di padre in figlio le case o gli abiti o le auto; ogni generazion­e deve imparare a partorire da sé e il dramma del travaglio non è evitabile, altrimenti non ci si renderà conto, si commettera­nno sempre gli stessi errori, come se si vedesse sempre lo stesso film o si sognasse sempre lo stesso sogno diventato ormai un loop o un incubo stanco.

Il giovanilis­mo è uno dei mali del nostro tempo creato dagli “adulti con riserva”, come Edmondo Berselli chiamava quelli della sua generazion­e.

Liberarsi dal giovanilis­mo per riavere la gioventù che aspiri a diventare adulta è una lezione valida per tutti. Soprattutt­o per chi ha l’ambizione di governare.

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