Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’Albergo dei poveri secondo Gor’kij
spazio evocato. Un rifugio di derelitti e alcolizzati dove i personaggi trascorrono i loro giorni tentando di non soccombere alla disperazione e all’inerzia della sconfitta».
La potenza del testo originario di Gor’kij è peraltro testimoniata anche dai diversi allestimenti teatrali e cinematografici, che lo hanno visto protagonista nel tempo, dall’iniziale versione del grande Stanislavskij, passando per il già citato Strehler, e giungendo ai film di Resnais e Kurosawa. «D’altra parte – continua l’attore e regista -, scoprire che cosa possa accadere con un copione come quello che abbiamo trattato significa riscriverlo in scena con gli attori e le attrici. Hai tra le mani un oggetto che è fondamentalmente un materiale di interpretazione; una parola, questa, oggi completamente fuori moda. Qui non c’è alcun metateatro, questo è un teatro di personaggi che devono essere resi tridimensionali, che dalla carta devono alzarsi in piedi sul palcoscenico. Essendo di carne e ossa, una volta alzati in piedi ci raccontano qualcosa a prescindere dalle parole. Ed è un lavoro molto complesso». Una difficoltà sempre presente nella traduzione scenica di un lavoro letterario. «Qui i racconti — conclude Popolizio — sono quasi sempre di ricordi e sogni. Ma la domanda è: “sono veri”? Chi è questo Luka? Un cialtrone? Un profeta? Di questo spettacolo, comunque, si può parlare leggendo il testo, ma cambia quando lo vedi, quando vedi i personaggi vestiti, quando li vedi muoversi, anche grazie alla riscrittura di Trevi che conserva tutta la sua carica di forza visionaria e disperata lucidità».