Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ultimi per gli alloggi e le mense studentesche Così gli atenei campani vanno verso l’estinzione
Niente servizi e 32 mila iscritti nelle università del Nord
Le università campane tra meno di 20 anni non esisteranno più e non sarà colpa di Geolier. Mediobanca nella sua ultima indagine ha calcolato che entro il 2041 gli atenei italiani perderanno quasi mezzo miliardo di euro di fondi e questo peserà in maniera decisiva sulla possibilità di garantire il diritto allo studio sopratutto nel Mezzogiorno.
I segnali negativi
In attesa di questo Armageddon del sistema universitario nazionale, segnali preoccupanti negli atenei campani sono già ben evidenti. La nostra è la regione che offre i servizi peggiori agli universitari, siamo ultimi per alloggi e mense. Per un esercito di 254 mila studenti, nella nostra regione ci sono solo 1.136 posti letto in residenze universitarie, solo 0,4 ogni 100 studenti. Un dato del tutto insufficiente, nettamente inferiore ala media nazionale (3,5) e incomparabile sia con le regioni più efficienti come Trentino, Friuli Venezia Giulia (9) e Marche (8), che con le altre sedi universitarie quali Umbria (3,7), Toscana (3,4), Lombardia (3), EmiliaRomagna (2) e Lazio (1).
Gli alloggi e il Pnrr
La Campania fa anche peggio delle altre regioni del Mezzogiorno, dove la Calabria spicca con 7 posti ogni 100 studenti ma anche Puglia (2,3), Sicilia (2) e Basilicata (1,7) offrono oltre il doppio delle residenze campane. In più nella nostra regione nessun nuovo alloggio per studenti è stato costruito con il Pnrr, a differenza dei 616 nuovi posti letto per studenti in Lombardia, dei 478 in Piemonte e dei 365 in Veneto creati con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, alla faccia dell’obiettivo di ridurre le diseguaglianze territoriali.
Le mense
Anche sulle mense universitarie la Campania è l’ultima in Italia. Il nostro sistema unidro versitario offre 0,35 posti a tavola ogni 100 studenti, il Trentino 10, le Marche più di 6, la Calabria 5,6, la Toscana e l’Umbria 5, Lombardia, Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Veneto 4.
La fuga verso il Nord
In questi numeri ci sono tutte le ragioni che spingono gli universitari ad iscriversi fuori regione. Un fenomeno migratorio enorme, un flusso di 32 mila studenti che vanno via dalla Campania per iscriversi nelle università del Nord. E se a questa fuga si aggiunge il calo demografico nazionale, che prevede entro il 2041 la riduzione del 16% della popolazione tra i 19 e i 25 anni, si ottiene la tempesta perfetta per il sistema universitario campano. Una tempesta alla quale bisognerebbe rispondere con l’attrazione di flussi studenteschi dall’estero che però con questi servizi non riusciamo ad attrarre. Oggi gli stranieri nelle università campane sono solo l’1,8%, una percentuale irrisoria rispetto a quella degli atenei del Nord (39,2%) e del Centro (28,7%) ma anche del resto del Mezzogiorno (6,2%). Un dato che è conseguenza diretta di un raggio d’azione dei nostri atenei che è il più ristretto d’Italia, con la maggioranza degli iscritti nelle università campane che è residente a meno di 40 chilometri dalla sede centrale.
La No Tax Area
La Campania è dunque il quaperfetto del circolo vizioso che si è creato nel sistema accademico italiano, con l’aggravante che le norme che dovrebbero esplicitare nel concreto il diritto allo studio si traducono invece in una cristallizzazione delle diseguaglianze territoriali. La No Tax Area, l’esenzione totale dalla tasse universitarie per gli studenti con Isee inferiori a 13 mila euro, introdotta nel 2017, si è concretizzata nell’impoverimento degli atenei campani. I fondi con cui il ministero dell’Università dovrebbe coprire l’esenzione totale non sono equivalenti ai costi dei servizi per ogni studente. Questo significa che negli atenei dove ci sono più esentati arrivano meno fondi. A conti fatti sono penalizzate le zone più povere del Paese e in particolare la Campania dove la percentuale di studenti in No Tax Area è superiore a quella nazionale del 33%. All’università Vanvitelli si tocca quota 59,6% e alla Parthenope il 55,9%, mentre si mantengono sotto il 50% — ma sempre sopra il 40 — le altre: Salerno (48,3%), L’Orientale (48,2%), la Federico II (47,5%), il Sannio (44,5%). Percentuali che se paragonate a quelle lombarde dove la più alta è quella della Statale al 27%, danno plasticamente l’immagine di un Paese diviso in due. Un circolo vizioso dove le diseguaglianze sono destinate a crescere: in Campania dove le aree di marginalità e povertà sono maggiori, gli studenti hanno meno servizi, gli atenei sono meno efficienti e arrivano meno fondi dal ministero perché ci sono più immatricolati indigenti. Gli atenei campani hanno i mesi contati e la situazione dovrebbe mettere in allarme quel mondo culturale ed istituzionale che attorno all’università vive e si confronta. Quello stesso mondo distratto a discutere di un ragazzo di 24 anni che con la sua musica scala le classifiche, vince dischi d’oro e, con la stessa semplicità con cui fa andare in sold out stadi e palazzetti, riempie le aule universitarie, destando le ire e le invidie di chi quelle stesse aule le sta facendo svuotare.