Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Senza lavoro, ai giovani non resta che fare i badanti
Il 54 per cento degli occupati nelle attività domestiche in Campania ha meno di trent’anni
Altro che choosy, sono sempre di più i giovani campani che lavorano come badanti e colf. Sembra passato un secolo da quando nell’ottobre del 2012 l’allora ministra del Lavoro del governo Monti, Elsa Fornero, dal palco di Assolombarda, chiese ai ragazzi di essere meno «choosy» e cioè meno schizzinosi rispetto alle offerte di lavoro. A dimostrare, 12 anni dopo, che i giovani, almeno quelli campani, schizzinosi non lo sono affatto, ci sono i dati dell’ultimo rapporto di Domina, l’associazione nazionale delle famiglie datori di lavoro domestico.
Record di under 30
Se infatti gli under 30 che lavorano come colf o badanti in Italia sono 52 mila — il 5,7% del totale degli occupati in questo settore — nella nostra regione i giovani lavoratori domestici rappresentano l’8,5%, un dato doppio rispetto alla media nazionale e secondo solo a quello della Calabria (10%). Se a questi dati si incrociano quelli dell’Osservatorio Inps si ottiene un quadro ancora più dettagliato, dal quale si può notare come nelle realtà più economicamente avanzate del Paese la maggioranza di questi lavoratori è straniera (oltre il 65%) mentre, nella nostra regione il 54% dei 3.777 under 30 occupati come colf e badanti è italiana. Un dato cresciuto del 45% in un solo decennio con un aumento record, il triplo della media nazionale ferma al 15%.
Le retribuzioni
Dalla banca dati dell’Inps emerge anche il dato delle retribuzioni annue. Mentre a livello nazionale i lavoratori domestici under 30 italiani hanno una retribuzione media annua di 3.700 euro, in Campania oltre la metà guadagna (al di là del sommerso) meno di 3 mila euro all’anno. Uno stipendio nettamente inferiore alla soglia di povertà che rende questa platea un esempio di working poor, di chi, pur lavorando, resta incastrato in una gabbia di povertà. Eurostat, che raccoglie i dati europei sulla povertà lavorativa, ha rilevato, infatti, che in Campania i working poor superano il 42%, una delle percentuali più alte del continenbasse, te. In questo bacino rientrano tutti i lavoratori domestici under 30 che, in nessun caso, riescono a superare con il loro lavoro la soglia di povertà.
Le offerte di lavoro
D’altronde in Campania, dove la disoccupazione giovanile ha toccato nei primi mesi del 2024 il 32,4%, dato doppio rispetto a quello nazionale del 16,7%, la fame di lavoro è un fattore che spinge molti ragazzi a intraprendere lavori umili, sebbene dignitosi. Anche per le condizioni di partenza, disoccupazione e poche opportunità, i giovani campani sono costretti a lavorare per paghe con contratti precari, spesso in condizioni di poca trasparenza per quel che riguarda le reali ore lavorate. Tutto questo continuando a portare sulle spalle lo stereotipo sui giovani meridionali svogliati. Un pregiudizio alimentato anche dal cortocircuito dei dati sul mondo del lavoro campano che scatta quando i posti di lavoro offerti dalle imprese non vengono coperti. Secondo l’aggiorna
«Il lavoro dà sempre dignità, ma un giovane che deve fare il collaboratore domestico ed essere ricattato è una vergogna». Lo afferma il segretario regionale della Cgil Campania Nicola Ricci, commentando i dati sui lavoratori domestici under 30 nella nostra regione.
I giovani campani indotti a fare colf e badanti?
«E lo fanno in condizioni anche peggiori rispetto al Nord. Secondo i dati della Fondazione Di Vittorio, un lavoratore domestico campano guadagna 5 mila euro in meno di un lombardo, e questo a parità di condizioni».
Questo perché?
«Immaginiamo due lavoratori inquadrati secondo regole — ripeto: a condizioni paritarie e formalmente ineccepibili — e per 8 ore giornaliere su 5 giorni a settimana: il collaboratore domestico in Lombardia guadagna 17.500 euro all’anno, in Campania 12.500. Nella nostra regione colf e badanti lavorano almeno 40 giornate in meno».
Influisce il contesto locale?
«Quello campano è un mercato del lavoro destrutturato e disomogeneo. Vige una legge della giungla, nello stesso settore si applicano condizioni diverse. C’è il tema della grande città che assorbe tutto e lascia scoperte le zone interne; la questione demografica e la mancanza di condizioni complessive come il trasporto carente e le abitazioni costose. Il mercato del lavoro campano è difficile da leggere e da interpretare».
Anche per il sindacato?
«Noi non intercettiamo tutti i lavoratori, abbiamo solo uno spaccato della realtà».
Perché?
«Molte figure come i lavoratori domestici per la loro precarietà non si rivolgono al sindacato. C’è una frammentazione in individualità portatrici di istanze che difficilmente si trasformano in collettive».
È la solitudine di colf e badanti?
«Purtroppo si. Molti dopo anni sono costretti al nero o all’abbandono del lavoro, perché le condizioni sono insopportabili. A parità di paghe altrove si sta meglio e in più qui non hai servizi».
Come si risolve?
«Se avessimo un collocamento pubblico, un luogo fisico dove incrociare domande e offerta, potremmo anche provare a creare un minimo di regole che mancano. Non c’è dialogo tra istituzioni. Basterebbe che Regione Campania, Inps, Inail, ex Ispettorato del lavoro e associazioni imprenditoriali facessero sistema. Invece ognuno si organizza per i fatti suoi».
Un po’ come i sindacati?
«Oggi ci sono tanti piccoli sindacati e sindacati di comodo e anche questo ha indebolito
"Tutti speculano sulle offerte a vuoto, ma la verità è che i datori di lavoro applicano condizioni inaccettabili