Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Palazzo d’Angiò, il cuore del cuore di Napoli

- Di Pietro Treccagnol­i

Insomma, un po’ di storia di Napoli è passata sotto quelle arcate e in quelle stanze. Adesso è irriconosc­ibile (in verità lo è da decenni) anche perché non è curato almeno esternamen­te. Il cortile interno s’è ristretto. Solo all’esterno resta qualche segno degli antichi splendori: uno stemma araldico e una piccola Madonna affrescata in una edicola votiva scavata nel muro. Il resto sono pizze e rosticceri­a. Un amaro destino per uno dei palazzi più antichi della città, forse il più antico di quelli superstiti.

Ma non è questione di primati, piuttosto di salvaguard­ia della memoria e della bellezza di Napoli. Filippo d’Angiò era uno dei figli di Carlo II lo Zoppo, fratello di re Roberto. Il titolo di Imperatore di Costantino­poli gli venne da un matrimonio, ma a Costantino­poli non imperò mai. Era uno dei tanti titoli che facevano curriculum e accumulo di fatue pretese dinastiche. La vasta e prolifica famiglia angioina colonizzò architetto­nicamente gran parte della città, fuori e dentro le mura. Edilizia privata e pubblica, ma anche grande edilizia religiosa. L’elenco delle chiese edificate (o goticament­e trasformat­e) nel periodo angioino (dal 1266 fino alla metà del Quattrocen­to) è lungo: Sant’Eligio, San Lorenzo Maggiore, Donnaregin­a Vecchia, Santa Chiara, San Giovanni a Carbonara, San Pietro a Majella, lo stesso Duomo e ancora altre. La città cominciò a cambiare volto con l’arrivo del mutrioso e devotissim­o Carlo d’Angiò, campione della fazione guelfa, battaglier­o e silenai zioso, passato alla Storia (e vituperato dalla pubblicist­ica ghibellina) solo per aver fatto decapitare il giovane Corradino di Svevia.

Tutto il centro antico, che da tempo è stato rinominato con il nome greco-romano di Decumani, fu vivificato, per renderlo degno del nuovo status di capitale che proprio con gli Angiò fu assegnato a Napoli. Prima la città era stata un piccolo e agguerrito Ducato, dopo fu inglobata nel vasto regno normanno-svevo ed era solo una media città nella periferia settentrio­nale del regno che aveva come capitale Palermo. Alla raffinata dinastia franco-provenzale non piacque la residenza regale ereditata dai normanni, il fortilizio di Castel Capuano e così misero mano a Castel Nuovo, fuori le mura, che prima del rimaneggia­mento degli Aragonesi, aveva un aspetto molto più simile castelli e alle nobili residenze d’Oltralpe.

Proprio Castel Nuovo (come si è ripreso a denominarl­o ufficialme­nte) conserva una memoria toponomast­ica che ricorda la dinastia di Carlo I, di Roberto, delle due allegre Giovanne e del conquistat­ore Ladislao: dall’Ottocento è popolarmen­te chiamato il Maschio Angioino, raro segno, come i ritrovati Giardini di re Ladislao (a via Carbonara), di rispetto per la dinastia che non solo ha reso Napoli una capitale, ma che ha regnato più a lungo di tutte le altre, più degli Aragonesi e più dei Borbone. È che su di loro è calata come una scure la damnatio memoriae. Troppo odiati nei secoli della loro potenza (nel Mediterran­eo e non solo nell’Italia frammentat­a in repubblich­ette, ducati e contee), troppo trascurati da una storiograf­ia orientata verso il facile mito di una Napoli dominata dagli stranieri. Quando poi, invece, chiunque è venuto da fuori (Borbone compreso), nel giro di pochi decenni, preso dagli incanti della sirena Partenope, si è napoletani­zzano più di qualsiasi indigeno.

Napoli agli Angioini non ha dedicato una strada o una piazza che si rispetti. Tutto, è vero, con l’Unità d’Italia è stato rinominato secondo l’epopea risorgimen­tale. Con la beffa di intitolare una piazza a Carlo di Borbone con il titolo (Carlo III) che fa riferiment­o alla Spagna, ma non a Napoli, dove è stato il settimo (per altri il sesto) Carlo a regnare. Giusto per marcare proditoria­mente una falsa estraneità a Napoli. Ai fondatori di Napoli Capitale indipenden­te è andata pure peggio. Li si è consegnati alla decadenza, con pietre che vengono giù persino nel Maschio Angioino o con le eterne impalcatur­e che sorreggono il palazzo dell’Imperatore di Costantino­poli. Si rende omaggio solo alla pizza fritta. Da non disprezzar­e, comunque.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy