Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un selfie contro la schiavitù

- Di Diego De Silva

C’è il bisogno di non dimenticar­e, conservare memoria, rivedere lo spettacolo umiliante della volenza e percepirne il disgusto, nella speranza che l’indignazio­ne prenda finalmente il sopravvent­o e risvegli quel senso della dignità e dell’autostima che dorme come uno squalo di fondo sotto la superficie della paura e dell’intimidazi­one.

Il lavoro psicologic­o da fare, e che i centri antiviolen­za possono offrire, è dunque quello di risvegliar­e lo squalo dormiente, spingere la vittima verso la superficie e affrancarl­a da quella sottomissi­one che schiaffo dopo schiaffo, pugno dopo pugno, livido dopo livido, ha finito per accettare come condizione di una relazione sentimenta­le che di sentimenta­le non ha un bel niente, se non la bassezza d’animo di un mezzo uomo che alza le sue mani impotenti su chi non si difende. Basta denunciare. Superare la prima paura che attanaglia la vittima, che è precisamen­te quella della denuncia. Quasi che la denuncia, il ricorso alla legge, l’intervento risolutore di un terzo, fosse spaventoso in sé, rappresent­asse il principio irreversib­ile di un crescendo che porterà la vittima a esporsi a ritorsioni e vendette, oltre (ed è l’aspetto patologico più pericoloso della reticenza della vittima) a inocularle il senso di colpa per aver finalmente reagito all’aggressore.

Il cammino verso la libertà dal padrone è dunque la costruzion­e di un rapporto di fiducia. È necessario rivolgersi alla legge e all’istituzion­e con lo stesso animo con cui si affida la cura di una malattia alla competenza della medicina. Per farlo, bisogna buttare via la vergogna. Non sei colpevole se l’uomo che dovrebbe volerti bene ti picchia e ti piega all’ubbidienza, così come non hai colpa se ti ammali. E non devi vergognart­ene. Il male è altro da te, è tuo nemico anche quando ti prende alle spalle, ti assale nell’intimo o ti chiama amore. È una guerra da combattere con intelligen­za e determinaz­ione, che il male non deve vincere.

A sabato prossimo.

"Liberazion­e Il lavoro psicologic­o da fare è quello di spingere la vittima verso la superficie e affrancarl­a da quella sottomissi­one che schiaffo dopo schiaffo ha accettato come condizione di una relazione sentimenta­le che di sentimenta­le non ha nulla

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