Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La ragazza del bosco
Nel loro periodo di colleganza, Riccardo e Cristina avevano finito per simpatizzare. In fondo erano due corpi estranei rispetto a un ambiente lavorativo normalizzante e conformista. Lui bollato come altezzoso e supponente; lei come un’eccentrica (in effetti lo era, da seguace della teosofia, naturista e vegetariana con sfumature animiste). In ogni caso, quell’esperienza professionale si era ridotta per entrambi a una parentesi, prima di imboccare carriere diverse. Riccardo aveva fatto fruttare la vocazione per la scrittura; Cristina aveva ripreso gli studi, interrotti dopo il matrimonio e una frettolosa maternità. I contatti fra loro due avevano finito così per diradarsi fino al silenzio cui sono predestinati, secondo Riccardo, quasi tutti i rapporti umani.
Saranno trascorsi una decina di anni. Dieci anni: due pafonica role, nove lettere in totale che sottintendono un buco temporale dove le esistenze possono esplodere o implodere. Nel 2014 Eleonora, la figlia di Cristina, era una preadolescente dagli occhi neri, profondi. Riccardo, invitato a cena dai genitori, li aveva associati a quelli di una cerva. Una creatura sul limite del bosco: guardinga, pronta a eclissarsi dopo un minimo accenno di pericolo. All’epoca, Riccardo aveva considerato la timidezza di Eleonora come un atteggiamento fisiologico, legato alla pubertà. In realtà, nessuno era stato capace di indovinare in quella ritrosia l’avvisaglia di un malanno psichico. Il preannuncio della catastrofe che si sarebbe abbattuta su Cristina ed il marito come una slavina, capace di farli sentire due sepolti vivi. In certi casi, quando non sai più a che santo votarti, richiami la rubrica telesul display. Scorri lo sconfortante elenco di nominativi, spesso rinviano a conoscenze superficiali o di comodo, più probabilmente al nulla. Il nome di Riccardo, viceversa, è rimasto abbinato al calore di un uomo perspicace, che sa ironizzare ma anche, quando è il caso, raccogliersi in ascolto dell’interlocutore. La fisionomia di Riccardo, dal vivo, Cristina la ricordava proprio così. La piccola ruga verticale di concentrazione, mentre medita su quanto gli confidi. E un broncio pensieroso, il modo partecipe di annuire, simile ad una punteggiatura. Tutte mimiche che si sono ripresentate puntualmente quando si sono rivisti, nel tavolo più defilato di un caffè dell’interminabile corso che traguarda verso le Alpi. Cristina si è fatta forza, ha riassunto senza minimizzarle le vicissitudini della figlia. Lei odia piagnucolare, perciò ha riparato le palpebre arrossate dietro i vapori del suo thè bollente. Porta tutta intera la tazza all’altezza della bocca, la trattiene con due mani per trattenersi dal piangere. In effetti la situazione è preoccupante: Eleonora, a ventitré anni, è impossibilitata a studiare o a trovarsi un’occupazione. Non ha amici o amori in corso. Vive semplicemente da reclusa, nell’abitazione dei suoi: una villetta il cui retro affaccia verso il bosco, sulla collina morenica a Ovest di questa Città del Nord. La ragazza se ne sta lì, nascosta al mondo da una forma severa di nevrosi ossessivo-compulsiva. Per arginare quello che le sembra il caos pauroso della vita, la ragazza si difende con la gabbia di un ordine patologico. Una folle negazione del disordine che la costringe a delle ritualità maniacali e, alla fine, paralizzanti. Cristina è sembrata immergere di nuovo il viso nella tazza, per mimetizzare un attimo di cedimento. Allora lui le ha sfiorato la mano, di slancio.
«C’è qualcosa che posso fare, in concreto? A parte il darti ascolto, dico».
Lei si è illuminata, in modo amoroso. Perfino le piccole rughe di stanchezza intorno agli occhi sono sembrate ridistendersi. Ciò nonostante ha atteso fosse lui a trovare, da solo, la strada che lei aveva già in mente. Riccardo è un uomo perspicace, ha superato il test.
«Ha qualche interesse, la ragazza? Al di là del suo problema, cos’è che le piace?».
Cristina ha lasciato che la luce esterna le ferisse gli occhi, pronti a liquefarsi.
«Lei va su Internet, ha qualche profilo social?».
Cristina deve aver scosso la testa. Ha rivisto la fronte chiusa, l’innocente irremovibilità della figlia che dice no, compulsivamente.
«Legge?», Riccardo senza smettere di incalzarla, «Le piace leggere, per caso?».
Finalmente un sì, sinonimo di speranza. Un punto dal quale partire. Infatti si sono
organizzati con la stessa sintonia che li aveva accomunati sul lavoro, nel decennio prima e che, ora, li ringiovanisce. La lettura può essere la strada, come sempre.
«I libri mi hanno fatto capire chi sono», l’entusiasmo di Riccardo, «Ti faccio una lista di suggerimenti».
Lei che non lo ha fatto concludere: «...e ti farò sapere Ele come li trova».
Una rottura dell’isolamento, uno spiraglio. Riccardo ha scribacchiato dei titoli sopra un tovagliolino, alla vecchia maniera. Cristina farà da collegamento fra sua figlia e lui.
«Ti farò sapere se le sono piaciuti. Ele ne sarà felice, comunque».
Nondimeno si è raccomandata: «non troppo cupi, ti prego».
Si sono salutati contando di rivedersi presto. Con grande trasporto, un abbraccio quasi alla vecchia maniera. Sono trascorsi giorni, da quell’incontro così promettente. Da Cristina, solo un mesto vocale: «forse ho sbagliato. Ele si è chiusa ancora di più a riccio».
A Riccardo viene in mente un paio di occhi scuri, concentrati su di lui. L’occhiata penetrante di una cerva, dal sottobosco. Il giovane animale deve aver annusato, in quell’appetitosa offerta di libri, un’esca per stanarla. Riccardo siede sulla poltrona del suo sovradimensionato appartamento da scapolo. La cerva ha intuito che l’intruso, il complice con cui la madre si è aperta, voleva attirarla fuori dal suo bosco. Nel disordine del mondo.
«Ele si lava le mani trenta volte al giorno», si era confidata Cristina, fissando la propria tazza. L’ossessione della purezza, si dice Riccardo, riacutizzata nella ragazza dal fatto che loro sono rimasti impuri. Lui e la madre erano stati amanti, al tempo. Ele avrà subodorato che la loro intimità potrebbe riprendere vita, sull’onda di un progetto comune. Riccardo socchiude gli occhi. La grande macchia sonora del bosco è come si fosse trapiantata qui da lui. I fruscii. I movimenti furtivi degli animali. Il serpeggiare delle radici che si avviluppano. Come ha fatto la cerva a intuire? Forse, con la sua malattia, Ele si è portata in una dimensione dove si sa tutto. Riccardo ha un brivido di freddo, ammesso sia freddo. Poi quest’impulso a lavarsi, lavarsi le mani.
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