Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gli sciuscià e tutti gli altri bambini travolti dalle guerre
Rapidamente, la parola sciuscià finì per indicare tutti i bambini poveri costretti ad arrangiarsi nelle strade di Napoli e delle altre città, alla fine di una guerra mondiale. Non furono solo italiani, gli sciuscià... Ci furono grandi film, un episodio di Paisà di Roberto Rossellini che le conseguenze della guerra sulla vita dei bambini e dei ragazzini affrontò direttamente o indirettamente in due grandissimi film, Germania anno zero ed Europa ‘51 , e ne trattò non secondariamente anche in Roma città aperta, mentre Vittorio De Sica, stanco di fare l’attore, la mostrò in un film che si chiamò appunto Sciuscià ed era ambientato a Roma, in un carcere minorile. Fu però Napoli la città che li vide più numerosi sollecitando anche un giovanile film di Comencini, Proibito rubare. La città per eccellenza degli «sciuscià».
Furono tempi duri per i bambini poveri, gli anni di guerra e fino al boom, e più che lo Stato furono la Chiesa e varie forme di «volontariato» laico, non sempre di impronta cattolica, a occuparsene. Nei tardi anni cinquanta, a Palermo e altrove, mi occupai anch’io di «carusi» (o «scugnizzi», ché l’appellativo «sciuscià» ebbe corso soltanto negli anni del dopoguerra). E ricordo ancora un albo settimanale a fumetti che aveva Sciuscià per titolo e raccontava di un avventuroso bambino napoletano in cerca del padre perduto che si muoveva tra Roma e Napoli. Molte furono le iniziative che di «sciuscià» si occuparono, la più importante e discussa delle quali rimane la Nomadelfia di don Zeno Saltini, una «città dei ragazzi» in cui operò per un tempo il giovane Danilo Dolci.
Maida ricostruisce queste e tante altre vicende con il rigore e l’abilità che aveva già dimostrato in La shoah dei bambini ,in L’infanzia nelle guerre del
Novecento ein I treni dell’accoglienza, tutti editi da Einaudi. Ritorniamo con Sciuscià ai modi di sopravvivere dei bambini dentro guerra e dopoguerra, figli o orfani di famiglie sventurate, e ovviamente non solo in Italia.
Ricordo il film russo di Nikolaj Ekk Il cammino verso la vita, di ambientazione post-rivoluzionaria, il film ungherese di Geza Radvanyi È accaduto in Europa, e, molto più tardi, il capolavoro russo di Andrej Tarkovskij L’infanzia di Ivan, che è in assoluto il più bel film dedicato ai bambini dentro una guerra, insieme a un altro film russo di molti anni dopo, di cui non ricordo chi fosse il regista, perché non fece altro di altrettanto significativo. Il titolo era, mi pare, Corri, muori e risuscita… E ricordo anche un film parzialmente documentario del giovane Fred Zinnemann, Odissea tragica, sui bambini sopravvissuti alla guerra ma privati dei genitori e affidati ad associazioni protette dall’Onu.
Il suo titolo originale era The search e alludeva alle fatiche di genitori per ritrovare i bambini dai quali la guerra li aveva divisi, nei lager e altrove…
Si legge il saggio di Maida (che ha il solo limite, se si può dire, del suo piglio universitario) con una emozione che, in persone della mia età, viene dai ricordi, dall’aver attraversato da educatore e ri-educatore e non da protagonista tante infanzie e adolescenze disastrate. Vittime, come il piccolo Useppe di La Storia, dello «scandalo che dura da diecimila anni», dell’ignobile e criminale violenza degli adulti. E colpisce oggi come allora l’indifferenza dei più al dolore dell’infanzia, nei paesi in guerra o sulle rotte della fuga verso i paesi ricchi. Che non sono affatto «un paese dove buongiorno vuol dire veramente buon giorno», come dicevano De Sica e Zavattini nel finale di Miracolo a Milano.