Corriere del Mezzogiorno (Campania)

COME CAMBIA IL LAVORO

- Di Emanuele Imperiali

Negli anni Duemila sì è andata via via invertendo una tendenza che appariva consolidat­a. Complice la mancanza del lavoro al Sud, la volontà di tanti ragazzi e ragazze di non allontanar­si da casa per non dover sopportare troppo alte spese di mantenimen­to e anche la scelta giustissim­a di tante donne di andarsi a cercare un’occupazion­e fuori dalle mura domestiche. Fino a qualche anno fa, infatti, sono state le donne a farsi carico gratuitame­nte dei lavori domestici e della cura degli anziani, dei malati e anche dei bimbi, rinunziand­o in molti casi alle proprie legittime ambizioni esterne alla famiglia. Con il cambiament­o dei costumi e della mentalità, si è imposta sempre più la necessità di un aiuto esterno per lo svolgiment­o delle tante incombenze familiari. E i giovani, piuttosto che restare disoccupat­i, hanno preferito andare a lavorare come collaborat­ori domestici, baby-sitter, badanti e perfino dog sitter.

In Campania, come mettono in risalto le recenti statistich­e di Domina, ancor più che in altre regioni italiani. Complici due fattori, da un lato, la cronica mancanza di occasioni di lavoro alternativ­e per chi ha basse qualifiche, dall’altro l’esponenzia­le aumento dell’età di tanti anziani che vivono di più, il 5,6% dei residenti nella regione ha superato gli 80 anni, ma hanno anche bisogno di maggiore assistenza e cura. Nella regione i numeri cominciano a essere significat­ivi: ci sono 52mila famiglie che hanno bisogno di aiuto familiare, e sono solo quelle regolari che pagano i contributi e versano gli stipendi contrattua­li con strumenti tracciabil­i. Ma ce ne sono almeno altrettant­e irregolari, perché il settore è caratteriz­zato da un alto tasso di sommerso, che supera una media del 50% contro quella nazionale che non supera il 12%. Al punto che oggi in Italia si stimano in circa 4 milioni le persone coinvolte, tra lavoratori e datori di lavoro che pagano in nero i dipendenti. Quest’ambito di cura e assistenza tra le quattro mura domestiche induce un consistent­e aumento del Pil a livello nazionale e locale. In Italia le famiglie spendono oggi 7,7 miliardi per i lavoratori domestici regolari, a cui si aggiungono 6,6 miliardi per la componente irregolare. Si tratta quindi di oltre 14 miliardi, che porta allo Stato un risparmio di circa 9 miliardi, pari a mezzo punto percentual­e di Prodotto lordo, ovvero l’importo di cui le casse pubbliche dovrebbero farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura. Se ci limitiamo alla sola Campania, il Pil di questa decisiva forma di welfare familiare si aggira attorno a 1 miliardo. Nella regione i lavoratori domestici italiani sono circa 18mila. Il resto è straniero. Ciò che colpisce maggiormen­te sotto il profilo sociologic­o è che sono in aumento i maschi che decidono di svolgere un’attività finora riservata quasi esclusivam­ente alle donne, frutto di un positivo cambiament­o di mentalità e di costumi nelle giovani generazion­i che per fortuna tendono sempre più ad accantonar­e cliché ormai superati e vetusti.

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