Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il sapere è responsabilità
La capacità predittiva è il carattere distintivo dell’intelligenza. Accade anche nella vita pubblica
le», dunque, non è mai «impersonale»; è il cammino fra il pensiero e le «cose» che facciamo: tra coscienza ecologica espressa nella raccolta differenziata, ad esempio; tra coscienza civile, che non ci fa parcheggiare davanti agli scivoli sui marciapiedi fatti per superare le barriere architettoniche. Fino ad arrivare alla responsabilità delle scelte ideali che investono integralmente la storia e la politica. È il «campo di possibilità» entro il quale, di volta in volta, si situa il nostro destino.
La responsabilità dell’azione indica il necessario esercizio di regolazione e di autoriflessione, capaci di riconoscere e «disvelare» il senso delle esperienze vitali. Questo ne annoda i fili in reti di eventi e ne evidenzia i nessi (sia pure temporanei) ai nostri occhi. È costituita dalla «capacità di distinguere» pensieri, credenze e valori riconducibili a regole e principi dell’azione.
Per questo una pedagogia della responsabilità passa attraverso l’inquietudine «in vivo» lungo i tanti snodi vitali delle esperienze, prima di tutto perché pre-vedere non può non passare dal «saper vedere». Comprendere il vissuto proprio e degli altri nasce nel microcosmo delle nostre relazioni e permette la costruzione del senso di responsabilità o, invece, la sua sterilizzazione. In questo momento storico, dove l’irragionevolezza e l’insensibilità nei confronti degli esiti drammatici dei propri gesti è diventata un modus operandi diffuso, sia personale che internazionale, quei barbari (non ho paura di scriverlo) che hanno scuoiato vivo il gatto Leo, non hanno saputo vedere il suo dolore. O forse proprio da esso sono stati eccitati. Mentre Mark Bekoff, etologo della University of Colorado, ha prodotto addirittura proiezione futura e che spesso ci tiene legati ad immagini catastrofiche o insulse. Il clima nel quale viviamo ci ostacola, spesso, la coscienza del futuro ed anche la conoscenza del passato. Ci limitiamo sempre più ad un esercizio di un sapere insipido, incapace di confronto, preconfezionato, estraneo, costruito sul sentito dire.
Mai come oggi l’impegno a perseguire la «responsabilità di sapere» appare la grande assente nei recenti episodi nelle Università perché, come dice Polito in queste pagine, i movimenti «non intendono confrontarsi con nessuno, perché avrebbero bisogno di “sapere” per poterlo fare». Quei gruppi di studenti che non hanno voluto saperne di ascoltare voci dissonanti non hanno dato ascolto ad una grammatica dell’azione responsabile e condivisa. Anzi, hanno perseguito in massa una cultura del pregiudizio e dell’ignoranza, delecome invitava a fare la Conferenza dei Rettori.
Arenarsi nella secca del rifiuto di collaborazione scientifica è una pura ipocrisia. Sappiamo tutti che la ricerca non è mai neutrale ed in questo insiste la «responsabilità» di ogni ricercatore, ma «l’avversario non è l’Università di Israele o l’Università di Mosca ... L’avversario è Hamas, il governo israeliano, Putin; avversari prima di tutto dei loro stessi popoli», dice Cacciari. La difesa della «responsabilità di sapere» non è retorica, dunque, è memoria; del terribile massacro degli ebrei del 7 ottobre, come dello strazio di oltre quattrocento persone torturate e uccise dai russi in meno di un mese a Bucha bisogna farne oggetti indispensabili per una riflessione delle tragedie delle guerre. Non meno del dramma di Gaza e della doppiezza di Hamas negli stessi luoghi.
L’incapacità di alcuni colleghi di rispondere con la conoscenza dei fatti alla paura di sentirsi delegittimati dagli studenti è stata, per me, una grande delusione.