Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL SESSANTOTTO DELLA RAGAZZA BORGHESE
Giovanna Mozzillo ha una natura appassionata che riversa nella sua scrittura e nei suoi personaggi, specie quelli femminili. Nel romanzo pubblicato da Franco Di Mauro, Nient’altro che la vita, la protagonista Chicca appare imparentata alla Rosella de La signorina e l’amore, uno dei libri più apprezzati della scrittrice napoletana. Sono entrambe ragazze di buona famiglia alle prese con sterzate del destino che le portano fuori della carreggiata ordinaria ed entrambe esibiscono uno sfrontato, inesauribile amore per la vita. Rosella vive nella Napoli del fascismo, mentre Chicca è una sedicenne che frequenta il liceo Umberto e la scuola di danza del San Carlo alla fine degli anni Sessanta. Una giovane assennata, che però sente vagamente dentro di sé di avere aspirazioni diverse da quelle delle sue noiose coetanee. Non a caso, per respirare appieno la libertà, se ne va all’alba sul lungomare a pattinare a tutta velocità. L’incontro con Eugenio, scapigliato contestatore, narcisista e fascinoso, la scaraventa nella tumultuosa atmosfera del Sessantotto, tra cortei e aule universitarie. Ed è proprio il movimento studentesco, con la sua carica utopistica e con le successive disillusioni, uno dei temi centrali del discorso di Mozzillo. Il Sessantotto viene raccontato da una prospettiva inedita, che è appunto quella borghese. Chicca a un certo punto rivendica esplicitamente la sua appartenenza al ceto borghese, pur rifuggendone certe sterili e vuote convenzioni: «Per i giovani del movimento la borghesia merita di venir traumatizzata, traumatizzata e sbeffeggiata. In quanto è colpa sua, solo sua, se il mondo non va come dovrebbe. Per quale ragione? Ma è ovvio, perché i suoi valori son sbagliati, sbagliati dal primo all’ultimo, non se ne salva nessuno. Per cominciare la borghesia è capitalistica». Ma poi: «Tra poco costituirà un cimelio del passato... Solo che... ma sarà davvero esatta una simile previsione? non è facile immaginarlo un mondo senza borghesia...». In un certo senso Giovanna Mozzillo riempie un vuoto da sempre avvertito nella letteratura napoletana, in molti casi appiattita sulla dicotomia tra alto e basso, ovvero tra racconto della plebe da un lato e dell’aristocrazia dall’altro. In mezzo a queste due Napoli c’è stato per tutto il Novecento un ceto medio che ha costruito, sognato, pensato, e del quale la scrittrice individua pregi e difetti, senza esaltarlo né assolverlo, ma in ogni caso rilevandone la presenza forte nella storia dell’epoca, fino all’attuale sfaldamento sociale. I sogni rivoluzionari del Sessantotto vengono presentati con tenerezza attraverso gli occhi ingenui e sgranati di Chicca, che si lancia con entusiasmo infantile in quella che considera una fantastica avventura. Il sogno però non dura, anzi subentra il disincanto della ragazza a riflettere quello dell’autrice. Le altre due parti del romanzo si distanziano cronologicamente: ritroviamo Chicca nel 1983 e nel nuovo millennio. La ragazza è diventata donna, ha acquisito consapevolezza, ma mantiene il suo spirito libero. Perché prima di tutto c’è la vita da vivere. Nient’altro può essere più importante.