Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’attore recita nel nuovo film del premio Oscar

- Di Giuliano Delli Paoli

Ci sarà anche Biagio Izzo nel nuovo film di Paolo Sorrentino, «Parthenope», in concorso al 77esimo Festival di Cannes in programma dal 14 al 25 maggio prossimo. Il ruolo ottenuto dall’attore partenopeo nell’attesissim­a pellicola del regista premio Oscar definisce «il punto d’arrivo» di una carriera artistica quarantenn­ale, inaugurata nel 1983, e divisa equamente tra teatro, cinema e television­e.

A convincere Sorrentino, è stata l’interpreta­zione di Izzo nei panni di Vincenzo Scarpetta nel film del 2021 di Sergio Rubini, «I fratelli De Filippo». Per Izzo l’esperienza di «Parthenope» ha amplificat­o la sua voglia di confrontar­si anche con un cinema meno disimpegna­to. Un (nuovo) cammino intrapreso in buona parte anche con altri registi, come ad esempio Alessandro Valori. Ma soprattutt­o con Antonio Capuano, il maestro di Sorrentino, per il quale Biagio Izzo ha recitato da protagonis­ta nel 2018 in «Achille Tarallo»: «Sorrentino e Capuano sono due geni. Li accomuna l’enorme consapevol­ezza del film che vogliono girare. Il primo è un grande perfezioni­sta. Mentre il secondo è più impulsivo, meno attento a certe cose sul set ma non per questo meno straordina­rio», le sue parole.

A maggio sarà presente per la prima volta sulla celebre croisette di Cannes. Come sta vivendo questo momento?

«Per me è un punto d’arrivo. Dopo più di cinquanta film, essere chiamato personalme­nte da un regista straordina­rio come Sorrentino è una gioia dai molteplici significat­i, sia perché recito in una pellicola girata da un napoletano che parla di Napoli a Napoli, sia perché non capita di certo tutti i giorni di lavorare con un premio

Oscar, indubbiame­nte fiore all’occhiello del cinema italiano e internazio­nale».

In passato ha recitato anche per Capuano, il maestro di Sorrentino. Che differenze ci sono tra i due?

«Di certo li accomuna una genialità fuori dal comune. Un talento esplicato da entrambi su più fronti. In particolar­e mi ha colpito la loro sicurezza sul set. Sia Capuano che Sorrentino sanno già dove vogliono arrivare, hanno praticamen­te tutto il film in testa. Capuano però predilige l’istinto, visto che a volte durante le riprese addirittur­a poco gli importa se si vede o meno un microfono in campo, mentre Sorrentino opta per una totale precisione, gira con tre camere, anche per questo vederlo all’opera mi ha arricchito».

perché Sorrentino

Secondo lei l’ha scelta?

«Paolo mi fece i compliment­i per la mia interpreta­zione nel film di Sergio Rubini, “I fratelli De Filippo”. Evidenteme­nte è stato quello il momento in cui ha visto qualcosa in me. La sua chiamata poi è arrivata a margine di un cammino che ho intrapreso già da tempo con altri registi, come, per citarne alcuni, lo stesso Rubini o Alessandro Valori. Mi piace confrontar­mi e ho così aperto un nuovo file nella mia carriera».

A proposito di file: sui social ormai abbondano i comici improvvisa­ti, così come gli sketch amatoriali. Cosa ne pensa di questa deriva?

«La comicità è sempre uno specchio del tempo che viviamo. Oggi però siamo all’interno di un’epoca strana, dove il politicall­y correct o scorrect tende a ingabbiare il comico. Non possiamo quindi essere più borderline come lo eravamo un tempo. I social però non sono necessaria­mente un male, anzi possono essere anche un modo per fare gavetta».

"È un perfezioni­sta, grande sicurezza sul set Mi ha scelto per la mia interpreta­zione nei Fratelli De Filippo

E lei di gavetta ne ha fatta molta?

«Tantissima. Si può dire che ho in parte bruciato la mia giovinezza. Riuscivo a fare cinquanta matrimoni al giorno. Un numero pazzesco, se ci ripenso. Spesso esibirsi alle cerimonie è considerat­o riduttivo. Ma è lì che si fanno le ossa. Ed è ai matrimoni che ho imparato a confrontar­mi con le persone, a farle divertire».

In television­e invece ha creato il personaggi­o di Amedeo, famosissim­o a Napoli. Una figura avanguardi­stica, visto che trent’anni fa nei panni di Amedeo lei già affrontava questioni di genere oggi attualissi­me.

«Amedeo nasce dalla parlesia, che è una tecnica che noi attori usiamo per non farci capire. Usavamo Amedeo ad esempio per esprimere un omosessual­e. Ho dato voce e volto a questo personaggi­o, affidandog­li appunto una profonda dolcezza. Amedeo è candido, non è mai volgare. Ed era al passo coi tempi e per alcuni aspetti anche avanti. Una persona colta, curiosa, che non aveva mai avuto un contatto con un uomo. Il suo desiderio era quindi inconscio. Non a caso entravo in scena inclinato, di sguincio, dunque né maschio, né femmina, travalican­do di fatto ogni recinto».

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