Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Mustilli: non è colpa soltanto delle banche Ci si informa poco e mancano alternative
lavora meno della metà della popolazione attiva, dalla quale devono essere esclusi anche i Neet, coloro che un lavoro, per disperazione o disillusione, neanche lo cercano più. Il tasso di occupazione in Campania è fermo al 45,3%, quasi venti punti sotto quello nazionale (62,1%) e lontanissimo dai picchi delle aree più ricche del Paese come il Nord Est (70,7%) o l’Emilia-Romagna (71,4%). In più la Campania fa registrare un tasso di disoccupazione del 17,8%, il più alto d’Italia, più del doppio di quello nazionale (7,8%) e quasi nove volte quello del Nord (2,9%). Tasso che peggiora nelle fasce giovanili (32,4%) e per le donne, facendo emergere con nettezza un gender gap insopportabile. Se infatti le diseguaglianze di genere sono rilevabili con facilità a livello nazionale sulle retribuzioni e sui tassi di occupazione, in Campania sono ancora più marcate. Con un tasso di disoccupazione femminile del 21,2% la nostra è la regione dove le donne hanno più difficoltà a trovare un’occupazione in Italia, e la possibilità di una donna campana di perdere il proprio lavoro è 5 volte superiore a quella di qualsiasi altra donna italiana.
I gap storici
Il report Fabi mostra come i gap storici, come quello tra Nord e Sud e quello di genere, emergano in tutta la loro potenza anche nel mondo del risparmio e con maggiore intensità in Campania. Nelle banche le gabbie salariali sono già diventante una realtà con tutti i rischi di inasprire le diseguaglianze e rendere ancora più difficile la vita di milioni di campani.
«Il Mezzogiorno, ma non solo, paga un ritardo nell’offerta di prodotti finanziari». Ne è convinto Mario Mustilli, ordinario di Economia, esperto del sistema bancario italiano e presidente di Sviluppo Campania.
Come spiega la differenza di remunerazione tra Nord e Sud?
«C’è un problema sia dal lato della domanda che dell’offerta e non è certo una questione di banche che agiscono in maniera ideologica contro il Mezzogiorno».
Allora qual è il motivo?
«Da un lato, nel Mezzogiorno la banca non informa correttamente e tempestivamente il cliente della possibilità di avere migliori condizioni; dall’altro, il correntista è poco attento e neanche controlla il suo tasso di interesse, accettando condizioni di svantaggio. Penso che il problema sia di attenzione».
Una questione di educazione finanziaria?
«Questo è un termine di cui si è abusato in passato e che inizia a dare fastidio anche a me. Però il Mezzogiorno registra un ritardo di attenzione sulle questioni bancarie che pesa anche sulla remunerazione dei conti correnti. Però è necessario anche il miglioramento dei servizi».
In che modo?
«È un po’ come la burocrazia e i servizi in generale. Ci sono meccanismi nelle aree meno efficienti del Paese dove coesistono vari problemi e gli operatori si adattano anche alla mancanza di lamentele degli utenti».
Ci si abitua all’inefficienza?
«Il cittadino si fa trattare male dal municipio di turno senza reagire, magari a Milano, a Trento o in un’altra città del Nord questo non accade. Dunque, se i servizi non sono buoni, il cittadino non ne chiede di migliori e questo anche per i conti correnti».
Pure a scapito della propria tasca?
«La popolazione del Sud è più concentrata sui problemi della vita quotidiana. Se un correntista spostasse il suo conto in un’altra banca guadagnerebbe pochissimo in più e quindi entra in gioco anche un concetto di comodità e di abitudine ad un determinato sistema che è rassicurante come un bias cognitivo».
Come si risolve?
«Ci sono strumenti digitali che confrontano le varie offerte bancarie. Ma su questo pesa il fatto che molti giovani vanno via e qui restiamo noi anziani meno digitalizzati. Però non è un solo una divisione tra Nord e Sud».
E cos’è, allora?
«In Italia i servizi finanziari si concentrano a Milano e questo penalizza anche realtà che erano centri finanziari e che oggi non lo sono più e penso a Treviso, Bologna o Torino».
Però esiste un gap di mercato finanziario tra Nord e Sud?
«Certo. I servizi del passivo delle banche nel Mezzogiorno sono meno efficienti, al Nord il mercato finanziario è più articolato, ha più segmenti di offerta nei confronti del mondo della produzione».
Cosa serve al Sud?
«Più prodotti finanziari alternativi, aumentare l’offerta per quelle realtà economiche di eccellenza, aziende che con un sistema finanziario vivo e innovativo potrebbero fare molto di più».
Cosa si sta facendo oggi?
«Ci sono importanti interventi di successo come quello dei mini bond o le attività sul private Equity. Queste operazioni e questi impegni significano in concreto portare nel Mezzogiorno elementi di un mercato finanziario maturo che qui non c’è e che è la prerogativa della crescita».
Al Sud si gioca anche la
partita della finanza?
«Non c’è dubbio, un mercato finanziario più apprezzato nel rapporto con le imprese, ma anche con la Pubblica amministrazione, sarebbe fondamentale e potrebbe dare molto al Sud e al Paese. C’è però un problema di organizzazione e di offerta finanziaria e la questione della remunerazione dei conti correnti potrebbe essere un campanello d’allarme che ci segnala proprio questa disfunzione».
Resta il dato sui depositi bancari.
«Si riapre una lunga discussione sul passato. Ci sono 1.115 miliardi di euro fermi che potrebbero essere utilizzati in un altro modo e questo è di per se una cosa negativa perché sono contanti giacenti, che potrebbero avere un uso diverso».