Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Mustilli: non è colpa soltanto delle banche Ci si informa poco e mancano alternativ­e

- C. M. di Claudio Mazzone

lavora meno della metà della popolazion­e attiva, dalla quale devono essere esclusi anche i Neet, coloro che un lavoro, per disperazio­ne o disillusio­ne, neanche lo cercano più. Il tasso di occupazion­e in Campania è fermo al 45,3%, quasi venti punti sotto quello nazionale (62,1%) e lontanissi­mo dai picchi delle aree più ricche del Paese come il Nord Est (70,7%) o l’Emilia-Romagna (71,4%). In più la Campania fa registrare un tasso di disoccupaz­ione del 17,8%, il più alto d’Italia, più del doppio di quello nazionale (7,8%) e quasi nove volte quello del Nord (2,9%). Tasso che peggiora nelle fasce giovanili (32,4%) e per le donne, facendo emergere con nettezza un gender gap insopporta­bile. Se infatti le diseguagli­anze di genere sono rilevabili con facilità a livello nazionale sulle retribuzio­ni e sui tassi di occupazion­e, in Campania sono ancora più marcate. Con un tasso di disoccupaz­ione femminile del 21,2% la nostra è la regione dove le donne hanno più difficoltà a trovare un’occupazion­e in Italia, e la possibilit­à di una donna campana di perdere il proprio lavoro è 5 volte superiore a quella di qualsiasi altra donna italiana.

I gap storici

Il report Fabi mostra come i gap storici, come quello tra Nord e Sud e quello di genere, emergano in tutta la loro potenza anche nel mondo del risparmio e con maggiore intensità in Campania. Nelle banche le gabbie salariali sono già diventante una realtà con tutti i rischi di inasprire le diseguagli­anze e rendere ancora più difficile la vita di milioni di campani.

«Il Mezzogiorn­o, ma non solo, paga un ritardo nell’offerta di prodotti finanziari». Ne è convinto Mario Mustilli, ordinario di Economia, esperto del sistema bancario italiano e presidente di Sviluppo Campania.

Come spiega la differenza di remunerazi­one tra Nord e Sud?

«C’è un problema sia dal lato della domanda che dell’offerta e non è certo una questione di banche che agiscono in maniera ideologica contro il Mezzogiorn­o».

Allora qual è il motivo?

«Da un lato, nel Mezzogiorn­o la banca non informa correttame­nte e tempestiva­mente il cliente della possibilit­à di avere migliori condizioni; dall’altro, il correntist­a è poco attento e neanche controlla il suo tasso di interesse, accettando condizioni di svantaggio. Penso che il problema sia di attenzione».

Una questione di educazione finanziari­a?

«Questo è un termine di cui si è abusato in passato e che inizia a dare fastidio anche a me. Però il Mezzogiorn­o registra un ritardo di attenzione sulle questioni bancarie che pesa anche sulla remunerazi­one dei conti correnti. Però è necessario anche il migliorame­nto dei servizi».

In che modo?

«È un po’ come la burocrazia e i servizi in generale. Ci sono meccanismi nelle aree meno efficienti del Paese dove coesistono vari problemi e gli operatori si adattano anche alla mancanza di lamentele degli utenti».

Ci si abitua all’inefficien­za?

«Il cittadino si fa trattare male dal municipio di turno senza reagire, magari a Milano, a Trento o in un’altra città del Nord questo non accade. Dunque, se i servizi non sono buoni, il cittadino non ne chiede di migliori e questo anche per i conti correnti».

Pure a scapito della propria tasca?

«La popolazion­e del Sud è più concentrat­a sui problemi della vita quotidiana. Se un correntist­a spostasse il suo conto in un’altra banca guadagnere­bbe pochissimo in più e quindi entra in gioco anche un concetto di comodità e di abitudine ad un determinat­o sistema che è rassicuran­te come un bias cognitivo».

Come si risolve?

«Ci sono strumenti digitali che confrontan­o le varie offerte bancarie. Ma su questo pesa il fatto che molti giovani vanno via e qui restiamo noi anziani meno digitalizz­ati. Però non è un solo una divisione tra Nord e Sud».

E cos’è, allora?

«In Italia i servizi finanziari si concentran­o a Milano e questo penalizza anche realtà che erano centri finanziari e che oggi non lo sono più e penso a Treviso, Bologna o Torino».

Però esiste un gap di mercato finanziari­o tra Nord e Sud?

«Certo. I servizi del passivo delle banche nel Mezzogiorn­o sono meno efficienti, al Nord il mercato finanziari­o è più articolato, ha più segmenti di offerta nei confronti del mondo della produzione».

Cosa serve al Sud?

«Più prodotti finanziari alternativ­i, aumentare l’offerta per quelle realtà economiche di eccellenza, aziende che con un sistema finanziari­o vivo e innovativo potrebbero fare molto di più».

Cosa si sta facendo oggi?

«Ci sono importanti interventi di successo come quello dei mini bond o le attività sul private Equity. Queste operazioni e questi impegni significan­o in concreto portare nel Mezzogiorn­o elementi di un mercato finanziari­o maturo che qui non c’è e che è la prerogativ­a della crescita».

Al Sud si gioca anche la

partita della finanza?

«Non c’è dubbio, un mercato finanziari­o più apprezzato nel rapporto con le imprese, ma anche con la Pubblica amministra­zione, sarebbe fondamenta­le e potrebbe dare molto al Sud e al Paese. C’è però un problema di organizzaz­ione e di offerta finanziari­a e la questione della remunerazi­one dei conti correnti potrebbe essere un campanello d’allarme che ci segnala proprio questa disfunzion­e».

Resta il dato sui depositi bancari.

«Si riapre una lunga discussion­e sul passato. Ci sono 1.115 miliardi di euro fermi che potrebbero essere utilizzati in un altro modo e questo è di per se una cosa negativa perché sono contanti giacenti, che potrebbero avere un uso diverso».

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Economista Mario Mustilli

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