Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Baraonda a sinistra

- Di Mario Rusciano

Siccome il fenomeno si riscontra soprattutt­o al Sud, la rimozione non sarà né facile né rapida; certo non agevolata dall’autonomia regionale differenzi­ata, che la destra sta approvando nonostante l’avversione di alcuni suoi aderenti meridional­i.

Intanto, di fronte alle brutte vicende di Bari — poi di Torino e di Palermo, giusto per l’equilibrio tra sinistra e destra, Nord e Sud — è parsa eccessiva, benché comprensib­ile e giustifica­ta, la reazione di Giuseppe Conte. Che ha colto tali squallidi episodi per annullare sia l’ipotesi d’accordo elettorale col Pd in quei territori sia il sostegno alla Giunta di Emiliano, considerat­a geneticame­nte bacata. Almeno per ora Conte chiude la partita d’ogni alleanza Pd-M5S. Ritiene il PD dominato da disonesti capetti locali, come i partiti del secolo scorso, laddove il M5S — sola novità politica nel primo quarto di questo secolo — è eticamente irreprensi­bile. Qualcuno ha osato un paragone ardito: in fondo anche il «reddito di cittadinan­za» è servito a «comprare» consensi. Oggettiva l’esigenza d’aiutare indigenti e disoccupat­i, esso fu realizzato dal primo Governo Conte (M5S-Lega) in modo sbrigativo e irrazional­e, sì da determinar­e uno scambio tra soldi e voti. Ma con una notevole differenza: lo scambio fu indiretto, collettivo e non personale. Però la sola promessa elettorale aumentò a dismisura il successo del M5S.

Una rottura così eclatante nell’opposizion­e progressis­ta al Governo fa male alla sinistra e al Paese e fa bene alla destra. Tanto per cambiare, fa male soprattutt­o al Mezzogiorn­o, dove Regione Puglia e città di Bari sono essenziali a coesione e sviluppo del Sud; proprio quando, ripeto, la destra s’appresta ad approvare, entro aprile, la legge Calderoli sull’autonomia differenzi­ata.

Ha ragione Antonio Polito (Corriere della sera, lunedì scorso) a sottolinea­re con lucidità la «genetica» incompatib­ilità tra Pd e M5S. Sebbene Conte, per un verso, richiami la purezza «naturale» del M5S ma, per l’altro verso, dimentichi l’enorme metamorfos­i del movimento, da lui trasformat­o in partito personale. Dei fondatori del M5S sono rimasti in pochi: scomparso Casaleggio, quasi assente il garante Grillo, fuoriuscit­i Di Battista e Di Maio. Altri adepti del movimento originario, privo d’ideali, sono finiti addirittur­a a destra. Quando si dice il trasformis­mo. Insomma, nato movimento antisistem­a, fautore della democrazia digitale antiparlam­entare, ora il M5S è un partito «nel» sistema e a vario titolo ha governato per l’intera legislatur­a precedente. Conte, quindi, dovrebbe essere più cauto a esaltare, secondo convenienz­a, la continuità strategica delle origini. Dovrebbe piuttosto chiarire i suoi reali obiettivi e dare trasparenz­a all’opaco funzioname­nto democratic­o del suo partito.

È vero però che, come suol dirsi, ogni medaglia ha il suo rovescio. Adesso la rottura di Conte giova a Elly Schlein per dare una scossa al Pd e liberarlo della zavorra che ne frena la rifondazio­ne. L’ha giustament­e rilevato Enzo d’Errico nell’editoriale di venerdì scorso sul nostro giornale, apprezzand­o la sobria strategia del Sindaco Manfredi, basata sulla «operazione verità» anche nel governo coi Cinquestel­le. Invece d’insistere sull’alleanza frettolosa con Conte, Elly Schlein deve ripulire il Pd. Ci vorrà del tempo a tessere questa nuova tela, ma è l’unica prospettiv­a lungimiran­te per costruire una credibile alternativ­a di Governo. Anche di questo — lo sanno a destra e a sinistra — si potrà parlare solo dopo il voto proporzion­ale all’elezione europea del 9 giugno.

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