Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Baraonda a sinistra
Siccome il fenomeno si riscontra soprattutto al Sud, la rimozione non sarà né facile né rapida; certo non agevolata dall’autonomia regionale differenziata, che la destra sta approvando nonostante l’avversione di alcuni suoi aderenti meridionali.
Intanto, di fronte alle brutte vicende di Bari — poi di Torino e di Palermo, giusto per l’equilibrio tra sinistra e destra, Nord e Sud — è parsa eccessiva, benché comprensibile e giustificata, la reazione di Giuseppe Conte. Che ha colto tali squallidi episodi per annullare sia l’ipotesi d’accordo elettorale col Pd in quei territori sia il sostegno alla Giunta di Emiliano, considerata geneticamente bacata. Almeno per ora Conte chiude la partita d’ogni alleanza Pd-M5S. Ritiene il PD dominato da disonesti capetti locali, come i partiti del secolo scorso, laddove il M5S — sola novità politica nel primo quarto di questo secolo — è eticamente irreprensibile. Qualcuno ha osato un paragone ardito: in fondo anche il «reddito di cittadinanza» è servito a «comprare» consensi. Oggettiva l’esigenza d’aiutare indigenti e disoccupati, esso fu realizzato dal primo Governo Conte (M5S-Lega) in modo sbrigativo e irrazionale, sì da determinare uno scambio tra soldi e voti. Ma con una notevole differenza: lo scambio fu indiretto, collettivo e non personale. Però la sola promessa elettorale aumentò a dismisura il successo del M5S.
Una rottura così eclatante nell’opposizione progressista al Governo fa male alla sinistra e al Paese e fa bene alla destra. Tanto per cambiare, fa male soprattutto al Mezzogiorno, dove Regione Puglia e città di Bari sono essenziali a coesione e sviluppo del Sud; proprio quando, ripeto, la destra s’appresta ad approvare, entro aprile, la legge Calderoli sull’autonomia differenziata.
Ha ragione Antonio Polito (Corriere della sera, lunedì scorso) a sottolineare con lucidità la «genetica» incompatibilità tra Pd e M5S. Sebbene Conte, per un verso, richiami la purezza «naturale» del M5S ma, per l’altro verso, dimentichi l’enorme metamorfosi del movimento, da lui trasformato in partito personale. Dei fondatori del M5S sono rimasti in pochi: scomparso Casaleggio, quasi assente il garante Grillo, fuoriusciti Di Battista e Di Maio. Altri adepti del movimento originario, privo d’ideali, sono finiti addirittura a destra. Quando si dice il trasformismo. Insomma, nato movimento antisistema, fautore della democrazia digitale antiparlamentare, ora il M5S è un partito «nel» sistema e a vario titolo ha governato per l’intera legislatura precedente. Conte, quindi, dovrebbe essere più cauto a esaltare, secondo convenienza, la continuità strategica delle origini. Dovrebbe piuttosto chiarire i suoi reali obiettivi e dare trasparenza all’opaco funzionamento democratico del suo partito.
È vero però che, come suol dirsi, ogni medaglia ha il suo rovescio. Adesso la rottura di Conte giova a Elly Schlein per dare una scossa al Pd e liberarlo della zavorra che ne frena la rifondazione. L’ha giustamente rilevato Enzo d’Errico nell’editoriale di venerdì scorso sul nostro giornale, apprezzando la sobria strategia del Sindaco Manfredi, basata sulla «operazione verità» anche nel governo coi Cinquestelle. Invece d’insistere sull’alleanza frettolosa con Conte, Elly Schlein deve ripulire il Pd. Ci vorrà del tempo a tessere questa nuova tela, ma è l’unica prospettiva lungimirante per costruire una credibile alternativa di Governo. Anche di questo — lo sanno a destra e a sinistra — si potrà parlare solo dopo il voto proporzionale all’elezione europea del 9 giugno.