Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le scelte di Myriam e Troise Una ragazza ebrea e un funzionario dell’Ovra si incontrano nella gelida Torino di fine ‘44 Il racconto della nascita di un nuovo romanzo
schile si era manifestata insieme con Myriam e indissolubile da lei. Lui era privo del nome e tale rimarrà, provvisto del solo cognome: Troise. Troise e basta, come se qualcuno, qualcosa, le circostanze ne avessero amputato l’identità. Troise può sembrare l’opposto diametrale di Myriam. È un funzionario dell’Ovra, la polizia politica fascista. Troise è un ingranaggio della Repubblica di Salò, animato da una buonafede ideologica che lo ha portato a seguire il regime nella sua ultima, più disonorevole avventura.
Sembrano quanto di più inconciliabile, Myriam e Troise. In realtà – l’ho scoperto scrivendo di loro, inventandoli sotto la loro dettatura –
Torna a Napoli Desina, il Festival indipendente dedicato alla grafica e alle culture visive, promosso dall’omonima associazione culturale di Stefano Pellone, Domenico Armatore e Nicola Feo, curatori della rassegna. Domani alle 10 l’inaugurazione nella Fondazione Morra Greco con la presentazione del programma e la preview delle mostre allestite su quattro piani del Palazzo Caracciolo di Avellino. Interverranno Rosita Marchese, presidente dell’Accademia di Belle Arti
Myriam e Troise sono anche apparentati da una comunanza decisiva, dietro le abissali differenze. Entrambi scontano la solitudine individuale, sulla sfondo della Grande Storia che schiaccia, implacabile, gli individui. Entrambi sono soli davanti alla prospettiva dell’imminente pericolo di vita. Myriam, certo, è esposta alla probabilità di venire rintracciata e deportata in ogni momento. Ha pochi soldi, con sé, oltre a dei documenti falsi contraffatti male. Inoltre è sprovvista di tessera annonaria, dunque impossibilitata ad approvvigionarsi di cibo. Anche Troise, tuttavia, corre il rischio di venire ucciso da un momento all’altro, durante un’imboscata. Perché quella del ‘43 -‘45, come ogni guerra civile, è fatta di agguati, delazioni, colpi di pistola alla nuca. Ecco, dunque, cosa sono, cosa rappresentano Myriam e Troise: un uomo e una donna, soli, di fronte all’incombente possibilità di perdere la vita. Di sparire nel maelstrom della Grande Storia che si nutre di microstorie. Un uomo e una donna: l’espressione elementare della vita, la vita che scorre come un fiume di sangue vivo da una generazione all’altra.
Perciò era scritto – non da me, ma inscritto nella necessità delle loro esistenze – che Myriam e Troise dovessero incrociarsi, nella gelida Torino di fine ‘44, tormentata da rastrellamenti, fame, disumanità. Una Torino dove dietro ognuno, con o senza divisa, può nascondersi un nemico mortale. Il punto di svolta si consuma una mattina: Troise, nel suo tragitto verso la Questura, viene colpito dalle grida di un linciaggio in corso. Una donna ha cercato di sottrarre la vitale tessera annonaria a qualcuno nella fila. Troise scorge, negli occhi enormi della giovane in pericolo, un grido di terrore inespresso che lo colpisce al plesso solare. È successo tutto in un attimo, uno di quegli istanti che contengono il passato, il presente e il futuro di ognuno. Si è deciso tutto nel tempo infinitesimale e infinito di uno sguardo. Sta di fatto che Troise sottrae Myriam al linciaggio. Lui è un veterano della sicurezza, ha l’occhio clinico per riconoscere qualcuno in fuga dalle leggi razziali. Nel giro di minuti, Troise decide di tenere con sé Myriam l’ebrea. Contro il mondo, contro la sua fede politica ancora in piedi, contro il proprio interesse. La terrà con sé, al riparo dai pericoli esterni, nella sua abitazione. Per paradosso, un appartamento confiscato dalle autorità fasciste agli ex proprietari, una famidi Napoli, Rachele Furfaro, presidente di Foqus, Giuseppe Gaeta, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Enrica D’Aguanno, coordinatrice del Dipartimento di Progettazione Artistica per l’Impresa dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Renato Quaglia, direttore generale Foqus, Maurizio Morra Greco, fondatore della Fondazione Morra Greco e Francesca Cocco, project manager di Edi Global Forum. ebrea. L’abitazione ha un unico letto, matrimoniale.
«Lei si era fatta contro quell’uomo, Troise. Si era avvinghiata a lui cercando un’istintiva protezione. Il calore, l’inevitabile strofinarsi dei loro corpi. Ognuno aveva cercato nel buio la bocca dell’altro, neanche dovesse respirare attraverso di lui, di lei (…) Il seguito si era consumato con una serie di automatismi naturali, di maschio e femmina».
Troise e Myriam, che gli deve la momentanea salvezza, iniziano a vivere da amanti.
Un rapporto da amanti e, insieme, da nemici. Perlomeno agli occhi di Myriam, che non dimentica il peso del sangue versato dai suoi correligionari, dai genitori, dall’amato fratello, tutti inghiottiti nell’universo senza ritorno dei campi di concentramento. Myriam non può dimenticare il peso di questo sangue, che non deve restare invendicato. Lei non può accondiscendere al ruolo di complice opportunista e accondiscendente di un nemico del suo sangue quale resta Troise. Al di là della protezione che la salva, al di là del desiderio che, come un’estrema pulsione di vita, li spinge l’uno fra le braccia dell’altra. Sul filo di questa ambivalenza, Myriam avrà modo di prendere contatto con ambienti insospettabili legati alla Resistenza. In particolare con due fratelli, Emanuela e Fred Alberganti, appartenenti a quella borghesia illuminata torinese che fiancheggia i ribelli. L’ambiguità della vita, la durezza della guerra civile metteranno Myriam e Troise di fronte alle scelte ultime. Ancora al sottofinale, io stesso non sapevo se i miei due protagonisti sarebbero riusciti a liberarsi dal peso del sangue. Sta di fatto che, scrivendo di loro, il velo nero davanti ai miei occhi è caduto. Mi piacerebbe dire per sempre.