Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il sindaco di Napoli: «È tutto sotto controllo». Da Pozzuoli: «Scenario fantasioso». I vulcanologi: «La situazione è complessa, il piano di evacuazione è inadeguato»
dicessero quando accadrà». A giudizio di Luongo il problema vero è un altro, dal momento che non c’è sicurezza assoluta sulla possibilità di prevedere con sufficiente anticipo una eventuale eruzione, «manca un piano B, cioè un piano di evacuazione a eruzione iniziata». Una questione sottolineata anche da altri ricercatori vulcanologi. Come Giuseppe Mastrolorenzo: «Resta ancora aperta la questione del piano di evacuazione che è inadeguato perché non tiene conto di ciò che potrebbe accadere. Se è vero infatti che rischiamo di non avere a disposizione le 72 ore previste tra la dichiarazione di allerta rossa e l’eruzione vera e propria, occorre prevedere un piano applicabile anche ad eruzione in corso, cosa che attualmente manca». Mastrolorenzo ricorda che «il problema sta nella natura stessa della caldera Campi Flegrei, nella sua estrema imprevedibilità, nel fatto che, a differenza dei vulcani tradizionali dove esiste almeno un condotto principale, nel nostro caso abbiamo 100 km quadrati di potenziali condotti da monitorare h24. E per farlo abbiamo a disposizione una stazione di monitoraggio ogni 2 km quadrati».
Di «eruzione quasi del tutto imprevedibile ai Campi Flegrei» parla anche il vulcanologo Giuseppe De Natale.«Il problema — spiega — è che il Vesuvio non si è mai sollevato quindi in caso di “rigonfiamento” di una sua area noi saremmo subito allerta. Nel caso dei Campi Flegrei abbiamo avuto due falsi allarmi in 70 anni. Per questo la prevenzione migliore possibile riguarda il controllo dello stato degli edifici che va fatto subito, ma anche, come ho scritto al prefetto nei mesi scorsi, la possibilità di una evacuazione limitata ai residenti da 1 a 2 chilometri attorno alla Solfatara».
Patrick Allard, direttore di ricerca dei sistemi vulcanici all’Istituto di Fisica del Globo di Parigi, già presidente dell’Iavcei (l’Associazione internazionale di Vulcanologia e di chimica della terra), è un vulcanologo di fama internazionale. Conosce molto bene le dinamiche dei Campi Flegrei ed è uno degli scienziati intervistati dalla tv svizzera Rsi per il documentario sugli effetti di una possibile eruzione nei Campi Flegrei.
Professore Allard, quel documentario ha destato allarme, lei che ne pensa?
«Effettivamente ho notato che è stata presentata una situazione con un tono molto drammatico. Però rispetto al mio intervento in quel documentario devo chiarire alcune cose per non creare equivoci».
Prego, chiarisca pure.
«Quando abbiamo parlato di effetti catastrofici anche su Napoli e sulle altre zone circostanti, va specificato che ci riferiamo alle grandi eruzioni del passato, in particolare a quella di circa 39mila anni fa della ignimbrite campana, con indice di esplosività vulcanica 7. Per quanto riguarda lo scenario futuro, l’eruzione attesa - non sappiamo quando, ma non a breve - dovrebbe essere paragonabile a quella del 1538 con cui si innalzò il Monte Nuovo, a livello di indice di esplosività è 2, una eruzione contenuta».
Quindi non correremo grandi rischi?
«Attenzione, anche questo tipo di eruzione limitata potrebbe creare problemi enormi vista la densità di abitanti nella caldera, parliamo di circa mezzo milione di persone. Inoltre anche in questo caso ci sarebbe un impatto sulla città di Napoli».
Ci spiega in che senso Napoli verrebbe coinvolta?
«Napoli verrebbe raggiunta da ricaduta di ceneri e gas vulcanici, sia per la direzione del vento che per l’altezza imponente della colonna eruttiva che può trasportare frammenti di magma, cenere e lapilli. Però parliamo di un evento piccolo, soprattutto al momento non vi sono evidenze di risalita del magma».
Come si sta muovendo il suolo nei Campi Flegrei?
«Consideriamo innanzitutto che parliamo del vulcano più sorvegliato al mondo, con una rete di strumenti modernissimi e con 120 persone esperte e impegnate nel monitoraggio. Dal 2005 il sollevamento del suolo avviene in maniera meno brutale del passato, ma più continua, con aumento delle emissioni gassose e un po’ delle temperature delle fumarole, inoltre come sappiamo aumenta l’attività sismica anche se rimane ancora confinata entro magnitudo 4 circa. Questi segnali indicano che c’è rilascio di energia ma non necessariamente associata al movimento di magma».
Gli effetti devastanti di cui parlavo nel documentario si riferiscono alle grandi eruzioni del passato come quella di 39mila anni fa, mentre lo scenario per il futuro, non imminente, riguarda una manifestazione simile a quella del 1538 del Monte Nuovo
E questa si conferma una buona notizia...
«Tuttavia c’è un aspetto che si sta valutando con attenzione, cioé che i vari periodi di bradisismo a partire dall’84, potrebbero modificare le proprietà fisiche delle rocce e quindi più facilmente fratturandole. Una situazione che un giorno potrebbe facilitare la risalita del magma».
Professore, lei è stato anche ascoltato in commissione Grandi rischi nei primi giorni di marzo. Cosa ha detto?
«Abbiamo parlato di un rischio che è più concreto, cioé l’esplosione freatica. Una eruzione che non coinvolge il magma ma che avviene a livello più superficiale. Tuttavia essa non è meno pericolosa per la gente che vive nell’area e che potrebbe essere raggiunta da ondate di calore, gas, blocchi di pietra».
E cosa si può fare in concreto per prevenirle?
«Le eruzioni freatiche sono molto complicate, difficili da prevedere, in genere hanno origine molto superficiale e hanno pochi precursori. In commissione Grandi rischi siamo stati tutti d’accordo che rappresentano il pericolo maggiore per i Campi Flegrei, anche perché non sappiamo dove potrebbe arrivare e in ogni caso siamo in un’area molto popolata».
C’è anche una questione che riguarda il tempo per prevedere l’inizio di una eruzione. Il piano di evacuazione prevede un anticipo di 72 ore per allontanare la popolazione residente.
«È difficile interpretare i precursori ed è molto difficile evacuare una popolazione di mezzo milione di abitanti in 72 ore. La soluzione migliore sarebbe ridurre drasticamente la presenza dell’uomo in quella zona, ma questa è una scelta della politica».