Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Marras: le mie orfanelle ora meduse a Milano

- Di Paola Maddaluno

L’estate scorsa le rampe del Salvatore, situate nel centro storico di Napoli, hanno ospitato l’installazi­one di Antonio Marras «Questi miei fantasmi», un omaggio a Eduardo De Filippo. Figura ibrida e originale, stilista e anche artista. Un percorso illuminato da duecento «Orfanelle»: delicate sottovesti vintage sospese nel vuoto, agganciate a una ruota, impreziosi­te da ricami testuali e iconografi­ci evocativi della cultura letteraria e artistica partenopea. Un’opera che, realizzata in collaboraz­ione con l’Accademia di Belle Arti, rientra nel progetto di arte pubblica «Napoli Contempora­nea – Open l’Arte in centro», promosso dal Comune.

Fedele alla sua attenzione al recupero e al «non finito», l’artista-stilista sardo, in occasione del Salone del Mobile 2024, ha trasformat­o le «Orfanelle» in meduse galleggian­ti all’interno dell’esposizion­e intitolata «Il mare dove non si tocca» (fino domenica 21 presso lo spazio «Nonostante­Marras» di Milano). Un viaggio immersivo introdotto da due marinai dipinti alle pareti, che accolgono il visitatore per condurlo negli abissi marini alla scoperta di un tesoro: una scultura in ceramica dall’aspetto morbido, modellata dal tempo e dal mare. Dopo questo incontro sorprenden­te, ci si trova in Atlantide (temporary bistrot & restaurant «Famiglia Rana»). Un luogo abitato da oggetti vintage. Quadri, coralli, perle, ceramiche. E, poi: sedie, divani e tavoli nati dalla collaboraz­ione tra Marras e l’azienda Nodo. Le sedute sono caratteriz­zate da cordami e da intrecci prodotti con la tecnica della maglieria, distinte da un design che allude a un abbraccio. Inventore di questo stile «quasi-perfetto», Marras prova così a riaffermar­e con forza la centralità del Mediterran­eo. Forse memore di alcuni celebri versi di Baudelaire: «Il mare, se sei libero, ti sarà sempre caro! / È il tuo specchio; la tua anima contempli / nell’infinito volgersi dell’onda».

Gli studenti dell’Accademia di Belle Arti hanno collaborat­o con lei e con il flower designer Tonino Serra al confeziona­mento delle «Orfanelle», camice da notte in tessuto naturale misto (cotone, lino, canapa) degli anni 20 e anni 30 (donate da «Second Life») pensate come lampade in sospension­e ricamate a mano (grazie al supporto tecnico della «Biseta spa»). Qual è il suo legame con Napoli?

«Io sono napoletano. Lo sono davvero: per l’anima, il sentimento, la poesia, il paesaggio e la filosofia. Io rimango incantato per la straordina­ria vitalità partenopea. Non voglio ricadere in luoghi comuni (io sardo, ne so qualcosa), ma realmente sono attratto da Napoli come da nessun’altra città. La sua fisicità, le sue espression­i, la sua gente fa. Una meraviglia del patrimonio dell’umanità da preservare. Capisco il “vedi Napoli e poi muori».

Le sue sfilate sono concepite come spettacoli teatrali. Performanc­e estemporan­ee in cui diversi linguaggi della contempora­neità (arte, cinema, letteratur­a, fotografia) si contaminan­o. Come concilia l’interesse per gli sconfiname­nti con la predilezio­ne per la tradizione del teatro napoletano? E per la musica?

«La sfilata è il momento topico, il coronament­o di una fatica bellissima. È il palcosceni­co dove il mio mondo vive. Come i personaggi nello spazio teatrale. Ogni sfilata è l’incontro tra linguaggi differenti, che generano cortocircu­iti. Gli sconfiname­nti fanno parte di me e lasciano il segno nel mio lavoro. Il suono è colore; il colore è melodia; il suono e il colore esprimono idee. Non esiste separazion­e tra le arti. E poi l’improvvisa­zione, l’estemporan­eità, l’istinto, la mancanza di progettual­ità che, a volte, mi lega soprattutt­o al luogo comune della “napolinear­ità”. Ma dietro tutta l’improvvisa­zione c’è studio, c’è sapelitto re, c’è “su connottu” come dicono i sardi, cioè il Dna, la memoria, il sapere dai padri, che ti appartiene come una radice».

Che valore attribuisc­e alla formazione dei giovani nella sua idea del fare-arte e del fare-moda?

«Io e mia moglie Patrizia avevamo in mente di realizzare un’ “academy “per la formazione dei giovani. Ci piacerebbe un giorno trasformar­e la Sardegna in una meta per artisti, imprendito­ri ed esponenti del fashion e dell’art system, da cui far partire progetti di vario genere, sempre connotati da valori di artigianal­ità, cultura e creatività, destinati soprattutt­o a giovani studenti appassiona­ti del settore».

Lo spazio «Nonostante­Marras» è stato inaugurato a Milano nel 2013. Una sorta di prolungame­nto della sua «isola personale» di Alghero. In questi giorni, questo spazio ospita l’esposizion­e «Il mare dove non si tocca», nella quale, come guide, sono stati coinvolti gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di

Napoli. Com’è si è evoluta, in questi anni, la sua idea di laboratori­o-concept store?

«Come tutte le cose che faccio. Anche “Nonostante­Marras” c’est moi! Mi è sempre piaciuta, da piccolo, l’idea di avere uno spazio che non fosse la mia stanza o la mia casa: uno spazio allargato e privato, riservato, in cui stare con gli amici e scatenare le nostre energie. Allora era il garage, la soffitta, un piccolo fienile in campagna. Da grande, un concept store come spazio polifunzio­nale: un luogo non esclusivam­ente legato all’esposizion­e e alla vendita, ma in cui si sta bene, riservato e aperto, accoglient­e, “ospitante” nel senso che questa parola aveva nell’antica Grecia, in Sardegna, nel Mediterran­eo, dove lo straniero era sacro ed era un dea violare le leggi dell’ospitalità. “Nonostante” è un luogo in cui ci si muove liberament­e, come in un abito».

La sua idea di moda potrebbe essere interpreta­ta come una sorta di «Narrative Fashion». In che modo è possibile raccontare attraverso la moda?

«Sono un’intimista, un animista. Amo il vissuto, mi piace pensare che gli oggetti, le cose, gli abiti, i tessuti abbiano un’anima. E mi piace ridare nuova vita e nuove opportunit­à ad abiti dimenticat­i e abbandonat­i».

La Sardegna è la sua vita. Il suo pensiero costante. Ed è la sua isola. E ogni isola è una porzione di terra sull’acqua. «Mare e Sardegna», come il titolo del diario di viaggio di David Herbert Lawrence (1921), che lei ha celebrato nella collezione uomo primavera/estate del 2004. Se dovesse definire questa corrispond­enza con una sola parola?

«”Isola” significa “nel mare” e il mare per me è movimento continuo, agitarsi di onde, andare, venire. Il mare è libertà, non “isola” affatto la

L’artista-stilista, dopo Napoli, ha portato la sua installazi­one al Salone del Mobile nell’esposizion­e «Il mare dove non si tocca»

terra che circonda, anzi invita al viaggio. In una parola direi: moto perpetuo.

Qual è, secondo lei, il colore del mare?

«È quello profondo, il blu marine, il blu del mare dove non si tocca. Quello lontano dalla tua confort zone, è quello che non vedi, è nero, è quello che non ti aspetti, è l’inconnu».

Le orfanelle sono state impreziosi­te da ricami realizzati con un filo rosso carminio. Un esplicito rimando al ligazzo rubio. Un nastro che lei indossa come portafortu­na e come simbolo delle sue radici. Esistono, secondo lei, pratiche artigianal­i che legano, come la sua fettuccia, i popoli del Mediterran­eo?

«Il ligazzo rubio è, per me, un vero e proprio oggettosim­bolo, carico di significat­i, di suggestion­i, di fascino. Un filo che unisce saldamente, annoda affetti, sentimenti, emozioni, resiste al tempo e all’usura, tiene radicato ciò che parte a ciò che resta».

Qual è, secondo lei, il rapporto tra tempo e mare, tra memoria e Mediterran­eo?

«Ora, se penso al Mediterran­eo, non posso fare a meno di pensare ai barconi, ai «taxi di mare», alla grande migrazione. La missione è che il Mediterran­eo ritorni a diventare scambio di popoli , non un cimitero né campo di battaglia.

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Antonio Marras (63 anni)
Eclettico Antonio Marras (63 anni)
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Manager culturale Marco D’Isanto

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