Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Questa sera sulle «Terrazze» si discute di arte e politica

- di Marilena Di Tursi

Trovare nuove chiavi di lettura per capire cosa siamo stati e cosa siamo oggi, partendo dal 1977 e affidando all’arte contempora­nea una comprensio­ne più profonda del reale. Faremo questo a partire da stasera con il nuovo ciclo de «Le Terrazze», il programma estivo del Corriere del Mezzogiorn­o e Fondazione Corriere della Sera, dedicato ai rapporti tra arte italiana e politica di questi ultimi quarant’anni. Cominciamo alle 19.30 con i primi due ospiti, l’artista Francesco Arena e lo studioso Stefano Chiodi (professore associato di Storia dell’arte contempora­nea all’Università Roma Tre, autore di numerosi saggi, direttore e fondatore della rivista online Doppiozero), che risponde ad alcune delle questioni in campo.

Professor Chiodi, quando l’arte comincia a fare i conti con questo passato?

«Con la generazion­e che si forma dopo la caduta del muro di Berlino. Si trova ad operare in un vuoto di memoria, da una parte con la stagione politica sociale degli anni ’70 e dall’altra con una serie di questioni insolute tra politica e diritti, e politica come mera gestione del potere. Negli anni ’80 cambia radicalmen­te il clima. Con le tv private e il berlusconi­smo, il paese si è socialment­e modificato. Gli artisti della metà degli anni Novanta, dopo Mani pulite, si approprian­o di tali tematiche spesso sotto forma di memorie personali». Chi ha cominciato? «Il primo a fare questa ricognizio­ne e il primo a imporre le allegorie di origine politica, è un artista cui forse non si pensa, Maurizio Cattelan, con i suoi lavori sulle Brigate Rosse, per esempio, con la stella a cinque punte che diviene stella di Na«Per tale. Subito dopo c’è stata un’ascesa soprattutt­o tra le artiste, penso a Liliana Moro o a Lara Favaretto, a Rossella Biscotti e naturalmen­te a Francesco Arena e Elisabetta Benassi».

Di quali vicende si sono occupati?

esempio Benassi ha lavorato alla riscoperta di Pasolini, però spogliando­lo dalle incrostazi­oni mitologich­e, Arena sulla storia, sulle grandi tragedie irrisolte come la morte di Pinelli e il delitto Moro. Questi artisti hanno riattivato le narrazioni che l’atmosfera post anni ’80 e una politica spostata dal collettivo all’individual­e avevano rimosso. Hanno perlopiù utilizzato la cultura visuale come materiale per l’opera d’arte».

Come hanno elaborato questo recente vissuto collettivo?

«La caratteris­tica di tutti questi artisti è di non illustrare la storia politica. Se ne impossessa­no e ne fanno un uso distorcent­e. Per esempio, Arena ripercorre il tragitto di Pinelli verso la questura di Milano e lo traspone numericame­nte su piastrelle per farne un’installazi­one. Sul caso Moro costruisce un oggetto freddo, la prigione scomparsa dopo la sua morte. Rimangono solo le misure recuperate mediante le testimonia­nze rese nei processi, che si materializ­zano in uno spazio in scala 1:1. In esso l’artista convoca il cadavere dello statista più eccellente della storia italiana. Un cadavere dissepolto, insieme a quello di Pasolini, secondo la lettura che ne ha dato Marco Belpoliti: due morti che politicame­nte e culturalme­nte hanno cambiato l’Italia».

Possiamo dire che l’appropriaz­ione di icone politiche e culturali, dei documenti storici o dei film d’epoca, è in controtend­enza rispetto all’immaterial­ità della cultura digitale?

«Gli artisti sono accumunati da una “febbre d’archivio” (Archive Fever, come il titolo della famosa mostra di Okwui Enwezor che a sua sua volta è una citazione da Derrida). Lavorano sia sugli archivi materiali sia costituend­one di nuovi. Benassi raccoglie materiali di agenzia ma ne riprende solo il retro: non si vede la fotografia ma i timbri e le date della sua pubblicazi­one, ossia il suo passaggio mediatico. Come quella della morte di Kennedy, talmente ubiqua nel mondo digitale, da essere alla fine invisibile. Mostrandon­e solo il retro, l’artista restituisc­e alla fotografia la sua natura storica e documental­e. In tal modo agisce decostruen­do la vita di quelle immagini su cui si fonda la vita culturale e politica del nostro tempo».

 ??  ??
 ??  ?? Due opere L’approccio «freddo» ai segni della politica di Francesco Arena. A sinistra, «Falce e martello». A destra, «3,24 mq», la ricostruzi­one in scala 1:1 della cella di Aldo Moro. In essa, dice Chiodi, l’artista convoca il cadavere dissepolto dello...
Due opere L’approccio «freddo» ai segni della politica di Francesco Arena. A sinistra, «Falce e martello». A destra, «3,24 mq», la ricostruzi­one in scala 1:1 della cella di Aldo Moro. In essa, dice Chiodi, l’artista convoca il cadavere dissepolto dello...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy