Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA CURA DEL NOSTRO TERRITORIO UN IMPEGNO NON PIÙ ELUDIBILE
L’estate è trascorsa lasciando dietro di sé una lunga e dolorosa scia di disastri, tutti connessi ai problemi del territorio e dell’ambiente: una scia dolorosa per i non pochi lutti che si sono dovuti registrare, e, in più, disastrosa per le conseguenze che ha avuto su molti settori dell’economia nazionale, soprattutto, come si sa, per l’agricoltura.
Per il Mezzogiorno quest’ultimo punto ha una particolare importanza. Anche qui l’agricoltura non è più quel che era una volta, e nell’occupazione come nella formazione dei redditi è calata al di sotto di quel che di peggio si sarebbe potuto pensare fino a pochi decenni fa. Nel frattempo, anche nel Mezzogiorno essa ha largamente cambiato di fisionomia. Si è modernizzata nelle sue tecniche produttive; ha, soprattutto, curato molto di più la sua commercializzazione; si è estesa ad altre colture; ha abbandonato produzioni e terreni sui quali era irragionevole insistere per la loro negatività nelle attuali condizioni di produzione e di mercato. Si hanno molti casi, un po’ in tutte le regioni meridionali, di giovani che hanno deciso di fare gli imprenditori agricoli e che vi stanno trovando una sicura affermazione personale e aziendale.
Tutto ciò è tanto più apprezzabile in quanto andare a operare nell’agricoltura è diventato alquanto più difficile anche per la difficoltà di trovare personale dedito al lavoro agricolo e bravo ed esperto nel farlo. Lo spopolamento delle aree montane e rurali si fa sentire, per questo verso, pesantemente, e, trattandosi di un fenomeno non soltanto socio-economico, ma anche, anzi ancora di più, socio-culturale, porvi riparo è tutt’altro che facile.
La lunga siccità e gli altri guai dell’estate, se hanno fatto male all’agricoltura, hanno fatto male ancora di più, molto di più, per tutto ciò che riguarda la salvaguardia del territorio. «Mettere in sicurezza»: si può scommettere che è stata questa l’espressione più ricorrente nelle cronache di questi scorsi mesi, o per deplorare che non lo si sia fatto, o per comunicare che lo si faceva sul momento per fronteggiare le immediate emergenze via via determinatesi, o per annunciare che lo si sarebbe fatto in futuro.
In effetti, quello della sicurezza è precisamente il problema centrale e dominante di una politica del territorio in paesi come l’Italia in cui il rischio idrogeologico, il rischio vulcanico e il rischio sismico sono pressoché onnipresenti, e soltanto zone ben delimitate nella loro estensione se ne possono considerare (relativamente) immuni. Ma, a parte le emergenze immediate, che significa «mettere in sicurezza»?
Poniamo questa domanda perché è evidente che un corretto concetto di ciò che in concreto significhi la messa in sicurezza del territorio non sia ancora maturato nella nostra cultura di governo e di amministrazione. Pare sempre che un problema di sicurezza si presenti solo quando avviene un disastro. Allora si scoprono gli abusi e gli eccessi nell’uso del territorio, la mancanza di cura, la scarsa capacità di allerta; si scopre tutto quel che sulla sicurezza del territorio può aver avuto un impatto negativo, e nascono i processi politici, giudiziari e mediatici, che si ripetono poi negli stessi modi a ogni successiva occasione di disastro.
Orbene, è proprio questa nozione emergenziale della sicurezza che occorre combattere e rovesciare, ricordando che, nel caso dell’Italia, la sicurezza è un problema permanente della realtà che si governa e si amministra, e che perciò dev’essere anche un problema permanente della politica e dell’amministrazione.
Sarebbe più che sciocco credere che si tratti di un problema di circoscritto ambito spaziale e temporale. È tutto il paese a esserne interessato. E per il tempo Romano Prodi affermò in una certa occasione che occorrevano trent’anni: una cifra detta così, ma che dà bene l’idea della scala temporale a cui bisogna pensare quando si parla di queste cose. Non che si tratti di una sola operazione. Si tratta di programmare una serie coordinata e cumulativa di interventi che regione per regione coprano a poco a poco l’intera estensione del paese, studiando priorità e impegni e considerando un compito ineludibile di istituto l’attività degli organi competenti in materia.
Trenta o meno o più anni? Non ha importanza. Importa solo che la cura del territorio diventi davvero una cura quotidiana, pianificata, realmente svolta di quello che, dopo tutto, è il primo presupposto, la prima base della nostra esistenza di uomini nati e agenti in questo paese, che si chiama Italia.