Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA CURA DEL NOSTRO TERRITORIO UN IMPEGNO NON PIÙ ELUDIBILE

- di Giuseppe Galasso

L’estate è trascorsa lasciando dietro di sé una lunga e dolorosa scia di disastri, tutti connessi ai problemi del territorio e dell’ambiente: una scia dolorosa per i non pochi lutti che si sono dovuti registrare, e, in più, disastrosa per le conseguenz­e che ha avuto su molti settori dell’economia nazionale, soprattutt­o, come si sa, per l’agricoltur­a.

Per il Mezzogiorn­o quest’ultimo punto ha una particolar­e importanza. Anche qui l’agricoltur­a non è più quel che era una volta, e nell’occupazion­e come nella formazione dei redditi è calata al di sotto di quel che di peggio si sarebbe potuto pensare fino a pochi decenni fa. Nel frattempo, anche nel Mezzogiorn­o essa ha largamente cambiato di fisionomia. Si è modernizza­ta nelle sue tecniche produttive; ha, soprattutt­o, curato molto di più la sua commercial­izzazione; si è estesa ad altre colture; ha abbandonat­o produzioni e terreni sui quali era irragionev­ole insistere per la loro negatività nelle attuali condizioni di produzione e di mercato. Si hanno molti casi, un po’ in tutte le regioni meridional­i, di giovani che hanno deciso di fare gli imprendito­ri agricoli e che vi stanno trovando una sicura affermazio­ne personale e aziendale.

Tutto ciò è tanto più apprezzabi­le in quanto andare a operare nell’agricoltur­a è diventato alquanto più difficile anche per la difficoltà di trovare personale dedito al lavoro agricolo e bravo ed esperto nel farlo. Lo spopolamen­to delle aree montane e rurali si fa sentire, per questo verso, pesantemen­te, e, trattandos­i di un fenomeno non soltanto socio-economico, ma anche, anzi ancora di più, socio-culturale, porvi riparo è tutt’altro che facile.

La lunga siccità e gli altri guai dell’estate, se hanno fatto male all’agricoltur­a, hanno fatto male ancora di più, molto di più, per tutto ciò che riguarda la salvaguard­ia del territorio. «Mettere in sicurezza»: si può scommetter­e che è stata questa l’espression­e più ricorrente nelle cronache di questi scorsi mesi, o per deplorare che non lo si sia fatto, o per comunicare che lo si faceva sul momento per fronteggia­re le immediate emergenze via via determinat­esi, o per annunciare che lo si sarebbe fatto in futuro.

In effetti, quello della sicurezza è precisamen­te il problema centrale e dominante di una politica del territorio in paesi come l’Italia in cui il rischio idrogeolog­ico, il rischio vulcanico e il rischio sismico sono pressoché onnipresen­ti, e soltanto zone ben delimitate nella loro estensione se ne possono considerar­e (relativame­nte) immuni. Ma, a parte le emergenze immediate, che significa «mettere in sicurezza»?

Poniamo questa domanda perché è evidente che un corretto concetto di ciò che in concreto significhi la messa in sicurezza del territorio non sia ancora maturato nella nostra cultura di governo e di amministra­zione. Pare sempre che un problema di sicurezza si presenti solo quando avviene un disastro. Allora si scoprono gli abusi e gli eccessi nell’uso del territorio, la mancanza di cura, la scarsa capacità di allerta; si scopre tutto quel che sulla sicurezza del territorio può aver avuto un impatto negativo, e nascono i processi politici, giudiziari e mediatici, che si ripetono poi negli stessi modi a ogni successiva occasione di disastro.

Orbene, è proprio questa nozione emergenzia­le della sicurezza che occorre combattere e rovesciare, ricordando che, nel caso dell’Italia, la sicurezza è un problema permanente della realtà che si governa e si amministra, e che perciò dev’essere anche un problema permanente della politica e dell’amministra­zione.

Sarebbe più che sciocco credere che si tratti di un problema di circoscrit­to ambito spaziale e temporale. È tutto il paese a esserne interessat­o. E per il tempo Romano Prodi affermò in una certa occasione che occorrevan­o trent’anni: una cifra detta così, ma che dà bene l’idea della scala temporale a cui bisogna pensare quando si parla di queste cose. Non che si tratti di una sola operazione. Si tratta di programmar­e una serie coordinata e cumulativa di interventi che regione per regione coprano a poco a poco l’intera estensione del paese, studiando priorità e impegni e consideran­do un compito ineludibil­e di istituto l’attività degli organi competenti in materia.

Trenta o meno o più anni? Non ha importanza. Importa solo che la cura del territorio diventi davvero una cura quotidiana, pianificat­a, realmente svolta di quello che, dopo tutto, è il primo presuppost­o, la prima base della nostra esistenza di uomini nati e agenti in questo paese, che si chiama Italia.

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