Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il Taranto e la vergogna del fantoccio
Un fantoccio penzolante dal ponte del sottovia più trafficato della città. Un messaggio, con aggettivo qualificativo, esplicito quanto una minaccia di morte.
Il segno, ultimo e macabro, della degenerazione del calcio a Taranto. O, forse, della sua risolutiva consunzione. Tonio Bongiovanni, vice presidente del club ionico, proprietario a tutti gli effetti della squadra che nuota confusa nello stagno della serie D, è finito simbolicamente impiccato per mano di coloro che ormai, con apatia cronachistica, vengono ribattezzati pseudotifosi. Chiamiamoli, invece, delinquenti. Piccoli criminali. Farabutti sovente a volto coperto con licenza di nuocere, insultare, intimidire. Non abitano solo a Taranto, per carità. Ma a Taranto si fanno notare più spesso, come nel marzo scorso quando con un raid di stampo malavitoso entrarono in branco e di soppiatto allo stadio e presero a botte tre giocatori che allo Iacovone non rimisero più piede. Se poi i rossoblu retrocessero, non fu solo per la condotta prevaricatrice degli ultras. Le responsabilità della società - prima e dopo l’episodio di violenza risultarono nette, forti, evidenti, pressoché indiscutibili. Scelte tecniche, gestionali, ambientali - sbagliate. Difettose tempistiche di comunicazione. Errori su errori riprodotti anche all’inizio di una stagione quella in corso - che doveva assecondare le voglie di rilancio e sta invece dilatando a dismisura le distanze tra il Taranto e la sua gente. Peccati da matita blu che, però, non legittimano la presenza ciondolante di un manichino con la corda al collo e un cartello con il nome del patron etichettato in modo becero. Un gesto peggiore di qualsiasi nefandezza sportiva. La conferma di un calcio che, a Taranto, somiglia sinistramente a un fantoccio appeso da un ponte. Cioè, è esanime.
Il fantoccio Vengono ribattezzati come pseudotifosi, ma sono delinquenti con licenza di nuocere