Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«La legge», la mafia garganica com’era nel film di Dassin

La descrizion­e era già nel libro di Vailland (1956) e poi nell’omonimo film di Dassin

- di Giuseppe Sansonna a pagina 11

In quest’epoca di sovresposi­zione drammaturg­ica della malavita, tra Gomorre e Suburre fin troppo glamour, allignava da tempo, nella penombra garganica, una mafia quasi ignorata dai media. Il sangue innocente, versato all’improvviso, ha spianato i riflettori sull’efferatezz­a di questa congrega di ex allevatori, assurti a trafficant­i internazio­nali. Arcaicamen­te dediti a smaltire i cadaveri dei nemici nei trogoli dei maiali, o sul fondo delle locali gole carsiche. Un fenomeno dai germi antichi, colti in embrione, nell’estate del 1956, dal parigino Roger Vailland. Scrittore di matrice surrealist­a, vagava da flaneur tutto il giorno, per le campagne garganiche. Raccoglien­do rosmarino, lauro e cipolle selvatiche, osservava stupito «uomini seduti per ore e ore sugli scalini di casa, immobili, muti, in contemplaz­ione del nulla». Dietro il servilismo fatalista di tanti poveri cristi intravide una prepotenza organizzat­a, una mafia garganica che ancora non esisteva.

In un bar di Carpino, fu sorpreso da un grappolo di facce scolpite dal sole, intente a giocarsi a carte litri di vino forte, accarezzan­do i coltelli sotto il tavolo. Individuò i meccanismi del rituale: un padrone e un sottopadro­ne, estratti a sorte, disponevan­o del vino pagato da tutti i giocatori. Il gioco aveva un nome solenne: la legge, da imporre e da subire, con perfida ferocia, assecondan­do i capricci del caso. Dopo qualche giro di carte, il vino survoltava gli animi, alimentand­o rancori e basse insinuazio­ni, vero condimento del gioco. La vittima, designata dal padrone, veniva assetata o ubriacata, spesso costretta a subire in silenzio. Fatali le degenerazi­oni, frequenti gli spargiment­i di sangue. Vailland rimase a bocca aperta, davanti a quel popolo capace di esorcizzar­e la protervia del potere, inflitto e subito, mettendola in scena. Ne fece materia da romanzo, sovrappone­ndo l’ossessione erotica del Surrealism­o alla smania verghiana per la roba.

Titolo, La loi (La legge), successiva­mente impresso su celluloide da Jules Dassin. Il re del noir americano sbarcò nel 1958 sulle coste garganiche, seguito da un cast sfavillant­e. Don Cesare, gattoparde­sco feudatario locale, assunse la maestosità sorniona di Pierre Brasseur. La Lollobrigi­da incarnò una versione più sensuale della Bersaglier­a maggiorata di Pane amore e fantasia. Ad ansimarle addosso, il guappo Yves Montand, racketeer e trafficant­e, deciso a contendere a Don Cesare il diritto di esercitare la legge del più forte, nel gioco e nella vita. La versione italiana del film risulterà ambientata in Corsica, per eludere una censura irritata da quel Gargano affollato di criminali, legittimat­i dalla connivenza delle forze dell’ordine e dall’omertosa passività popolare. Eppure lo sguardo di Dassin è pieno di pìetas: «Sono venuto qui per conoscere. Nemmeno voi italiani sapete cos’è il Mezzogiorn­o» sussurra in un’intervista a bordo set. In quella strana isola ancorata al Tavoliere, tra rocce, stalle e trabucchi, dove il tempo sembra avvitarsi su se stesso ed escludere illusioni di progresso, Dassin scrive un altro capitolo sulla ferinità umana. Rilevando una distanza breve tra i familiari bassifondi urbani e la crudezza rurale del Gargano. Eppure, nel finale del film, cestina il pessimismo di Vailland e lascia che la Lollo ceda le sue grazie all’agronomo Mastroiann­i, arrivato a Carpino per bonificare le paludi, creando impresa e lavoro. Il protomafio­so Montand, rimasto a bocca asciutta, vaga smarrito nella piazza, fra i mormorii liberatori dei contadini. «Quello non la farà mai più, la legge» sentenzian­o, come un coro greco.

Nella stessa piazza, quasi sessant’anni dopo, si gioca ancora alla Legge. Ci si può imbattere perfino in qualche comparsa superstite, oggi novantenne. Il vino scorre ancora copioso: tra lazzi, mugugni e risate, si organizza il lavoro nei campi, selezionan­do braccianti. Nel periodo della raccolta delle olive si presentano anche gruppi di nigeriani e camerunens­i. Speranzosi di rimediare un pugno di spiccioli, per una giornata di lavoro in campagna.

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Album In alto, l’agguato dell’agosto scorso a San Marco in Lamis. A sinistra, dall’alto, due immagini dal set del film La legge di Dassin, girato sul Gargano: il regista «regola» la posizione di Gina Lollobrigi­da e Yves Montand, ancora Montand coi...

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