Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Lo strano caso Natuzzi: operai pagati per stare a casa
Stipendio pieno senza lavorare per i 94 che hanno vinto il ricorso, gli altri in fabbrica con salario ridotto
Hanno deciso di non accettare la proposta azienda di finire in una newco preferendo invece presentare ricorso. Loro, 94 dipendenti della Natuzzi, hanno vinto dinanzi al giudice che ha disposto il reintegro ma l’azienda non può immetterli nuovamente nel processo produttivo perché è ancora in vigore lo stato di crisi e sarebbe complicato riaprire le procedure ministeriali. Risultato: i 94 operai - i primi di un gruppo di 176 persone dello stabilimento di Ginosa rimangono a casa ma a stipendio pieno. Una beffa per i loro colleghi, che invece prestano opera alla Natuzzi ma con la decurtazione del salario pari al 30 per cento come previsto dal contratto di solidarietà. L’azienda per il momento preferisce mantenere la cautela, ma la situazione è tutt’altro che tranquilla, e rischia di provocare frizioni interne tra gli operai.
Riassunti e pagati per non lavorare. Il tutto a fronte della maggior parte dei loro colleghi che nei turni aziendali non solo c’è, ma riceve uno stipendio decurtato dalla quota di solidarietà (il 30% in meno). Succede anche questo in un’Italia che in tema di occupazione continua a stupire producendo situazioni al limite del paradosso. Sarà per normative che spesso non sono chiare o per sentenze della magistratura che in alcuni casi parlano molto di teoria e molto poco di pratica. Fatto sta che la storia che giunge da Santeramo in Colle è al limite del comprensibile.
Da giugno scorso (a scaglioni) 94 dipendenti della Natuzzi, leader mondiale nella produzione di salotti in pelle, sono stati reintegrati con un’ordinanza del giudice del lavoro presso il Tribunale di Bari che sostanzialmente «invalida» il licenziamento dell’ottobre 2016 riferito ai collaboratori in cassa integrazione straordinaria presso lo stabilimento di Ginosa (il plesso è stato chiuso con 230 unità). Si tratta di una prima tranche di 176 dipendenti complessivi che hanno impugnato il licenziamento. Il risultato? La «burocrazia» spesso è di difficile interpretazione. E ancor più complicata è l’applicazione. I 94 reintegrati, infatti, sono stati riassunti (con pagamento degli arretrati dal 2016), ma restano a casa a stipendio pieno. Il motivo? L’azienda ha aperto uno stato di crisi (per 1.920 unità) con trattamento di solidarietà. Tradotto: non ha i volumi per poter impiegare tutti quindi, d’intesa con le parti sociali, il ministero del Lavoro ha dato il via libera al trattamento di integrazione salariale a fronte della riduzione dell’orario giornaliero. Attualmente un dipendente Natuzzi lavora per poco più di 5 ore al giorno anziché 8 come da contratto (con riduzione di circa il 30% dello stipendio). D’altronde anche volendo inserire i 94 dipendenti (destinati a salire a 176) nel ciclo produttivo, con un ulteriore aumento della percentuale di solidarietà, bisognerebbe riaprire la procedura ministeriale creando più svantaggi che vantaggi.
L’accordo di crisi, sottoscritto dai sindacati, aveva segnato un percorso per chi era stato licenziato. Era prevista la costituzione di una nuova società, collegata alla Natuzzi, che avrebbe riassunto tutte le maestranze per riattivare lo stabilimento di Ginosa da riservare al trattamento degli imbottiti. Ma l’opzione è svanita in presenza dell’adesione all'iniziativa di soli 32 collaboratori (su complessivi 230). «Siamo preoccupati per come la situazione può evolversi — spiega Antonio Delle Noci, segretario generale della Filca Cisl di Bari — speriamo che spunti favorevoli possano emergere dal nuovo piano industriale che l’azienda presenterà all’indomani del consiglio d’amministrazione di fine ottobre. Noi vogliamo tutelare il futuro dei dipendenti della Natuzzi».
La multinazionale del salotto, comunque, attenderà la conclusione delle vertenze in «portafoglio». Sapendo che ha già dovuto accantonare come fondo rischi 13,5 milioni. Tale somma ha impattato pesantemente sui conti: il primo semestre del 2017 si è chiuso con a perdita di 14,7 milioni nonostante una crescita del fatturato dell’1,4% (da 230,6 a 233,8 milioni). D’altronde la sommatoria di dieci anni di perdita fa riflettere: dal 2007 al 2016 il gruppo ha accumulato un «rosso» da 339 milioni. Anche per questo Natuzzi, a giugno scorso, ha comunicato di aver sospeso i nuovi investimenti previsti dal Piano Industriale (avrebbe dovuto sottoscrivere il contratto di programma per l’avvio della newco di Giosa).
In questa situazione estremamente complessa anche la politica ha fatto la sua parte per accrescere il caos. Il 4 luglio scorso il Consiglio Regionale della Puglia, anziché spingere l’azienda a riattivare il confronto, ha approvato un ordine del giorno che revoca dell’accordo del 15 novembre 2016 tra la Regione Puglia e l’azienda per i nuovi investimenti. Tale impostazione è stata criticata da parte dei sindacati che chiedono alle istituzioni di tornare a discutere per il rilancio.