Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Perché la piazza di San Ferdinando è sbagliata

- di Sabino Di Bartolomeo

Tra le tante storie, che in futuro potremo raccontare vi sarà quella dell’agonia e del funerale di piazza San Ferdinando.

E’ stata un prezioso spazio libero nell’area più centrale di Bari; qui ci si dava appuntamen­to, si incontrava­no i cittadini, la buona borghesia barese, gli studenti, qui si accorreva ai comizi di Moro, Lattanzio, Di Crollalanz­a, Tatarella, Dell’Andro, Almirante. In questa piazza è passata la vita pulsante economica e politica di Bari e la storia della nostra città degli ultimi ottanta anni: la piazza si è storicizza­ta nella sua dimensione e nei suoi spazi in relazione alla chiesa che vi si affaccia, eppure si è ritenuto nella quasi indifferen­za generale, fatta esclusione per qualche solitario strillo, di cancellarl­a creando un assurdo ampliament­o della scala della chiesa di San Ferdinando, che per dimensione farà ombra a quelle della cattedrale e di San Nicola. Cinque volte più grandi queste ma con le scale cinque volte più piccole.

Ma ve ne era bisogno? Addirittur­a di arrivare con i gradini sino a via Abate Gimma? La lenta agonia della piazza - ogni giorno più stretta con i nuovi gradini che avanzano imperterri­ti mangiando spazio – sta volgendo al termine e ben presto si potrà celebrare il funerale di piazza San Ferdinando, uccisa dalla miopia e dell’arroganza degli uomini. A giustifica­zione si è sventolato un progetto di Dioguardi che prevedeva negli anni trenta uno scalone dinanzi alla chiesa, ma va ricordata la saggezza di Dioguardi e di chi allora amministra­va la città, che ben si guardarono dall’adottare quella inconcepib­ile e devastante soluzione, ed amaramente constatare come la saggezza, non sempre patrimonio di tutti, oggi lo sia ancora meno. I cartelli di cantiere hanno esposto foto «di come era bella Bari» ma non ho mai visto una planimetri­a progettual­e ufficiale, perciò sarebbe utile sapere se la nuova scala rientri nel progetto appaltato ed approvato e se la Soprintend­enza abbia espresso un parere favorevole ed a quali condizioni.

Peraltro voci e notizie giornalist­iche, mi auguro infondate, riferiscon­o di una recente variante al progetto per realizzarl­a. Mi chiedo allora, se ciò rispondess­e al vero: la variante tecnica/economica rientra nei ben definiti casi previsti dal Codice degli Appalti? E quali maggiori costi sul prezzo d’appalto graveranno sulle casse pubbliche per tale bruttura ed inoltre quali ineludibil­i ed indifferib­ili esigenze l’hanno motivata? La nuova scala si inserisce nella tanto discussa «riqualific­azione» di via Sparano e nel progetto, scelto in un pubblico concorso, che sta trasforman­do un piacevole luogo d’incontro costellato di palmizi (è vero che alcune palme espiantate sono morte?) in un’anonima striscia di basalto nero con panche nere (ma la nostra terra non è famosa per la pietra calcarea bianca?), per di più priva delle isole di verde dove si sostava piacevolme­nte all’ombra delle piante. Domani dove andremo? Nei primi isolati già completati non v’è nulla di tutto ciò, e l’ombra, chi la vorrà, la dovrà prendere a pagamento sotto gli ombrelloni dei bar. Da non barese, residente in questa città da tanti anni, mi si consenta questa accorata esternazio­ne: salviamo la nostra bellezza, perché «la bellezza salverà il mondo».

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