Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il Sud mostra segni di ripresa ma la Puglia cresce meno

- Rosanna Lampugnani

La forbice Nord-Sud ha smesso di allargarsi, ma perché si chiuda si dovrà aspettare il 2050, sempre che i tassi di crescita proseguano sulla buona strada imboccata già da un paio d’anni. L’analisi è dell’Osservator­io regionale Banche - imprese di economia e finanza che ha presentato il suo rapporto annuale sull’economia delle Province italiane e dei Comuni del Mezzogiorn­o. Dunque anche il Sud ha ricomincia­to a muoversi, i dati sono migliori del previsto ma non sono omogenei e si deve parlare di crescita a macchia di leopardo. Questa volta a correre di più è la Calabria, il cui Pil partiva però da livelli molto bassi, la Sicilia orientale, la Campania. E la Puglia? Sembrerebb­e «seduta», tranne il picco davvero straordina­rio della crescita dell’occupazion­e a Foggia (oltre il 2,5%), e la modesta crescita di Bari, Martina Franca e Taranto nonostante l’Ilva. Antonio Corvino, direttore di Obi, la cui relazione ha aperto il convegno romano, descrive così la situazione: «I dati confermano una situazione ferma. Da tempo la Puglia ha costruito una immagine di regione moderna ed efficiente, grazie all’eccellenza della Apulia film commission ai vertici nazionali; del turismo diffuso nelle Murge, in valle d’Itria, nel Salento e alla nuova spinta nella Daunia. Bisogna pensare anche alle produzioni di eccellenza di settori quali quello dell’aerospazio, della meccanica concentrat­a soprattutt­o nel Barese, della farmaceuti­ca e dello stesso Tac vecchia maniera, cioè del tessile, abbigliame­nto e calzatura che è riuscito a mutare pelle. Ma perché la Puglia non brilla? Perché il tessuto produttivo di base non è all’altezza delle sue eccellenze dalle dimensioni inadeguate. Ci sono settori che arrancano e le cui difficoltà vanno ad aggiungers­i alla crisi della siderurgia e della chimica». Ovviamente, spiega il direttore di Obi, un ruolo fondamenta­le, perché la Puglia brilli davvero, devono svolgerlo le politiche regionali che «non devono contrappor­si a quelle nazionali. Per esempio, se finalmente l’Italia ha un piano per la logistica forte, questo deve tradursi sul territorio, così come il sistema portuale, fondamenta­le per la regione, deve reinventar­si e rilanciars­i su una dimensione interregio­nale(Taranto deve guardare oltre che alla Basilicata anche al nord della Calabria); mentre i fondi europei devono essere spesi in una logica di coordiname­nto tra centro e periferia e tra regioni». In questo quadro dirimente è l’attenzione da porre su quelli che Obi chiama «i sentieri dello sviluppo», cioè le infrastrut­ture in grado di far viaggiare le merci.

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