Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
DOVE CERCARE LA BORGHESIA
Che guaio, la borghesia non c’è più! Con tale fascinosa parola si intenderebbe la classe iperdinamica che muove il progresso della comunità. E in questa accezione, fa un curioso salto all’indietro di 2 secoli: la borghesia fu vista in positivo solo agli albori, quando era il motore delle rivoluzioni antinobiliari e clericali, nonché protagonista del famosissimo pamphlet Il Terzo Stato dell’abate francese Emmanuel Joseph Sieyès. Dopo quegli anni gloriosi, finiti peraltro con il Terrore e la dittatura, «borghesia» crollò anche a livello semantico. Diventò sinonimo di fortezza da abbattere, nemico giurato di ogni concezione marxista o, all’opposto, fascista, perché simbolo di modestia morale e conservatorismo. Pierpaolo Pasolini sentenziò che «nel quartiere borghese c’è la pace di cui ognuno dentro si contenta, anche vilmente, e di cui vorrebbe piena ogni sera l’esistenza».
Acqua passata. Oggi ci nutriamo tutti di una borghesia leggendaria e quasi onirica, una sorta di «com’era verde la mia valle» delle classi sociali. E la valle si rinverdisce quando parliamo di uomini come Paolo Laterza. Ma cosa distingue il normale imprenditore o editore dal borghese illuminato che si rimpiange e si indica ad esempio? Per tutte, può valere la sintesi dell’economista tedesco Werner Sombart, citato da Ugo Patroni Griffi: «Dedizione per il bene collettivo e rigetto dell’accaparramento forsennato». Insomma, la «borghesia buona» che tanto ci manca sarebbe caratterizzata dal fatto che, insieme a fare profitto, si accorgerebbe persino di vivere insieme ad altri esseri umani. Bene, se è tutto qui, allora perché non si trova più in circolazione?
Azzardiamo una risposta: perché la cerchiamo nel posto sbagliato. Già 15 anni fa, l’economista americano Richard Florida aveva sostituito il mito della «borghesia delle professioni impegnata in politica», inguaribilmente novecentesco, con la «classe creativa». Sarebbe a dire? «Le persone che si occupano di scienza e di ingegneria, di architettura e di design, di istruzione, di arte, di musica e intrattenimento, la cui funzione sociale è creare nuove idee, nuove tecnologie e nuovi contenuti creativi». Di recente, Florida ha pubblicato un nuovo saggio, intitolato The New Urban Crisis, in cui si parla dell’altra faccia della medaglia. Ma la classe creativa resta una chiave di lettura di una vera società aperta, dove un giovane che si inventa una start up o un tecnico che tiene un laboratorio di nuovi saperi può fare per la società quanto i suoi padri e nonni facevano con i libri e con la politica attiva. Che, purtroppo, oggi tanto attiva non è più.