Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LE DUE DEBOLEZZE
La lunga attività dell’Acquedotto pugliese – ora Aqp spa – non è mai stata senza problemi, fin dai primi anni; oggi le difficoltà sono aumentate molto, non solo con i dipendenti e i sindacati, ma anche – forse soprattutto – nell’intero assetto giuridico e programmatico dell’ente che, a stagioni alterne, è stato l’anima dell’approvvigionamento idrico della Puglia. Al punto in cui siamo, per leggere la crisi di questo ente servirebbe un’enorme quantità di documenti e progetti, spesso non realizzati, e magari un immaginario computo di acqua persa per furti e guasti degli impianti, nella misura stabile di un terzo e più della loro intera portata. Si tratta di fatti nemmeno tanto inediti; nuova è invece l’assenza di un’attendibile politica di risanamento e di progettazione certa, non “di carta” senza seguito; abbastanza nuovo è anche il grave difetto di organizzazione del personale, senza che tutto porti agli “eterni” esuberi. Ma oggi restano inspiegabili almeno due aspetti della questione. Da un lato Emiliano parla ripetutamente dell’Aqp come di una sorta di Acquedotto del Mediterraneo, sogno ancora lontanissimo dalla realtà. Dall’altro lato, la fragilità dei rapporti con i sindacati si rispecchia nell’attuale quadro politico della nostra regione, dove le normali risorse di dibattito e di ascolto sono state sostituite da scelte soggettive e unilaterali che, necessariamente, non fanno sistema. Un tempo, pur con mille limiti, l’Acquedotto pugliese era la speranza di chi cercava lavoro – negli anni dei “carrozzoni” di sottogoverno – o l’occasione prestigiosa di chi scalava intelligentemente la società ricca, e comunque era il volto di servizio di uno Stato altrimenti solo esattore. Il servizio, almeno quello, era salvo. Oggi comincia a vacillare anche il principio di utilità sociale, sottovalutata da una direzione aziendale mai lontana dal potere e del tutto disorientata di fronte alle rafforzate tentazioni di autonomismo fiscale duro, come quello della Lega; contro questa deriva basterebbe la valorizzazione delle strutture pubbliche già esistenti, ai fini di una più fresca fiducia della società attiva. Ma la situazione resta ancora troppo priva di una “mente” politica previdente e programmatica sul piano regionale, urgente quanto la stessa acqua, che comunque va distribuita con competenza e sensibilità di governo.