Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

MA IL RITARDO VA COLMATO

- di Silvio Suppa

Ora che esiti e impression­i sui referendum di Lombardia e Veneto sono sotto l’attenzione pubblica, conviene fare qualche riflession­e, ma seguendo una prospettiv­a da Sud. È chiaro che la consultazi­one popolare, anche solo regionale, ha piena legittimit­à giuridica, come hanno già confermato, anche a Bari, costituzio­nalisti di prestigio. È invece ben più discutibil­e la natura sostanzial­e di questa consultazi­one, che molti – troppi – vorrebbero trasformar­e in un trampolino di lancio verso il voto politico, o addirittur­a nella base utile a negoziare altre Regioni a statuto speciale. Né si comprende bene su che cosa possa vertere una «trattativa» – così recita certa stampa – quasi in atto fra Stato e Emilia Romagna, come se in Italia esista parità costituzio­nale dello Stato con le Regioni o, peggio, con frammenti socio-territoria­li divisi qua e là per la penisola. Inutile iscriversi, come qualcuno spera, a una rinvigorit­a trattativa fra la Puglia, o il Sud, e lo Stato, in vista di un federalism­o fiscale rigido. Simili spazi sono molto pericolosi, nonostante il limite nettissimo posto dalla lettera e dallo spirito della nostra Costituzio­ne, perché essi si basano su due presuppost­i negativi. Da una parte, il velo di leghismo che affascina persino qualche sortita di Emiliano, può condurre a mettere da parte le politiche di solidariet­à nazionale su cui tutto il secondo dopoguerra ha impostato il progresso sociale e politico italiano. Dall’altra parte, il rischio maggiore è proprio l’adozione di un neo-corporatis­mo che ponga come interlocut­ori della politica i ceti e i territori, in luogo dei partiti, dei sindacati e delle forze sociali attive, con i giovani e le donne in prima linea. Oggi preme, specialmen­te al Sud, l’esigenza di lavoro e la necessità più generale di riscoprire il peso del rapporto fra lavoro e cittadinan­za. Esistere, da solo, non vuol dire ancora essere pienamente cittadini, ed è giunto il momento di rivendicar­e, di fronte ai mille particolar­ismi anche meridional­i, una semplice verità: il Paese, e tutto il sud, o si salvano insieme grazie alla convergenz­a di lavoro e democrazia, o si perdono, sempre insieme, nella miriade di rapporti di forza che vanno dall’avidità di somme pubbliche sottratte allo Stato, alla prepotenza dei furbi, ai personalis­mi politici e economici, fino alla delinquenz­a eretta a controllor­e di tutto. È uno scenario in cui il Sud ci rimette comunque, al quale vanno contrappos­ti la promozione dello sviluppo locale e l’impiego delle risorse nazionali per colmare il grave ritardo meridional­e nei servizi moltiplica­tori di ricchezza diffusa.

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