Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Santa Croce, il restauro è uno spettacolo

La basilica leccese è in «cura» ma anche il cantiere è un’attrazione. Fine lavori entro il 2018

- di Paola Moscardino

Bisogna vincere la paura dell’altezza – se l’avete. Superare il senso di vertigine che è anche normale che venga, a guardare giù dall’alto di venti metri. E concentrar­si sul fatto che si sta vivendo un privilegio, o qualcosa di simile. Perché arrivare su, in cima alla Basilica di Santa Croce, tra le nuvole e il barocco, vicini al rosone quasi da poterlo toccare, è quasi un’esperienza sensoriale.

Premessa: la Basilica di Santa Croce, a Lecce, è in fase di restauro, imbragata e avvolta da una tela a dimensione naturale che ne riproduce la facciata. Al di là di quella tela, c’è un cantiere in fermento, che la ditta appaltatri­ce (Nicolì srl) ha pensato di aprire al pubblico. Come? Con un ascensore, che sale e scende tra le impalcatur­e. E’ possibile visitare tre dei dieci livelli del cantiere. Si sale, e si cammina sui ponteggi tra sculture e capitelli: la grandezza, la magnificen­za barocca, e la storia di un monumento diventato un simbolo sono tutte là, straordina­riamente a portata di palmo. A tu per tu con Santa Croce. Abbiamo fatto questo viaggio per voi.

La Basilica è un po’ acciaccata, i suoi 400 e passa anni si vedono tutti (la parte inferiore del prospetto è datata 1582; mentre «nel 1646 Cesare Penna firma la facciata di Santa Croce, nella sua parte più fiammeggia­nte», scrive Mario Manieri Elia in Barocco leccese, e cioè nella parte superiore). Il suo stato di salute non è dei migliori, e le prime avvisaglie si hanno nel 2011, con il crollo di alcuni frammenti. Appare subito chiaro che Santa Croce ha seri problemi sia di natura statica – specie nella parte superiore – che di natura lapidea: la pietra si sta sfarinando, le lesioni e lo sgretolame­nto risultano evidenti. I fattori climatici sono il suo più grande nemico. Le piogge acide hanno contribuit­o moltissimo all’esfoliazio­ne della pietra. Non solo. La facciata è diventata habitat di muschi, licheni, e quei chiaro-scuri, che si notano con facilità anche a occhio nudo, altro non sono che la prova della presenza diffusa di fattori patogeni. Una curiosità infine: in estate, la temperatur­a della facciata raggiunge i 50 gradi centigradi. Sfido qualunque tipo di pietra a resistere, per quattro secoli e oltre, a questo stress.

Il terzo livello del cantiere, dove come prima tappa ci porta l’ascensore, è quello ad altezza rosone: vietato toccare ovviamente, ma la vicinanza è tale che si potrebbe anche farlo. E già qui è possibile notare la differenza tra le parti oggetto di restauro e quelle ancora non.

I lavori sono stati preceduti da una lunga fase di studio, sperimenta­zione, realizzazi­one di prototipi. «E’ un approccio scientific­o molto rigoroso», dice Valerio Nicolì, direttore del cantiere. Gli studi sono serviti a individuar­e i prodotti che hanno maggiore compatibil­ità con la pietra, da utilizzare intanto per la pulitura della facciata e poi per il consolidam­ento e la messa in sicurezza. «Sono prodotti organici – spiega Nicolì – e hanno una doppia funzione: di consolidam­ento e di protezione. Il trattament­o è lungo, il processo molto delicato, e prevede applicazio­ni particolar­i: ossalati di ammonio a impacco, da lasciare poi agire per un tot numero di ore». Come certi trattament­i di bellezza. Ma è un trattament­o d’urto in questo caso, che richiede tanto lavoro manuale.

A commission­are l’intervento di restauro è stata la Curia di Lecce. La Soprintend­enza Archeologi­ca, Belle Arti e Paesaggio ha redatto il progetto e dirige i lavori; la Regione Puglia finanzia con 2 milioni di euro. Iniziati nel 2016, dovrebbero terminare entro il 2018. «Aprire il cantiere al pubblico è anche un modo per far conoscere il lavoro prezioso dei restaurato­ri – dice Nicolì -. Ci sono maestranze altamente specializz­ate in questo cantiere. Recuperare la magnificen­za di questa facciata e restituirl­a alla città, agli studiosi e ai tanti turisti che vengono ad ammirarla, non è una cosa da niente». Si va di pennello, la cura in ogni dettaglio. E non è un caso che lo slogan di questo restauro, la frase impressa sul telo che ricopre la facciata e diventata quasi un brand, è «Aver Cura». Cura per la storia, cura per la bellezza.

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 ??  ?? Percorsi La ditta Nicolì ha aperto al pubblico tre dei dieci livelli del cantiere. Si sale in ascensore e si passeggia sulle impalcatur­e
Percorsi La ditta Nicolì ha aperto al pubblico tre dei dieci livelli del cantiere. Si sale in ascensore e si passeggia sulle impalcatur­e
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Dettagli E’ così che le mille figure della facciata, osservate da vicino, prendono vita (foto Serino)

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