Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Santa Croce, il restauro è uno spettacolo
La basilica leccese è in «cura» ma anche il cantiere è un’attrazione. Fine lavori entro il 2018
Bisogna vincere la paura dell’altezza – se l’avete. Superare il senso di vertigine che è anche normale che venga, a guardare giù dall’alto di venti metri. E concentrarsi sul fatto che si sta vivendo un privilegio, o qualcosa di simile. Perché arrivare su, in cima alla Basilica di Santa Croce, tra le nuvole e il barocco, vicini al rosone quasi da poterlo toccare, è quasi un’esperienza sensoriale.
Premessa: la Basilica di Santa Croce, a Lecce, è in fase di restauro, imbragata e avvolta da una tela a dimensione naturale che ne riproduce la facciata. Al di là di quella tela, c’è un cantiere in fermento, che la ditta appaltatrice (Nicolì srl) ha pensato di aprire al pubblico. Come? Con un ascensore, che sale e scende tra le impalcature. E’ possibile visitare tre dei dieci livelli del cantiere. Si sale, e si cammina sui ponteggi tra sculture e capitelli: la grandezza, la magnificenza barocca, e la storia di un monumento diventato un simbolo sono tutte là, straordinariamente a portata di palmo. A tu per tu con Santa Croce. Abbiamo fatto questo viaggio per voi.
La Basilica è un po’ acciaccata, i suoi 400 e passa anni si vedono tutti (la parte inferiore del prospetto è datata 1582; mentre «nel 1646 Cesare Penna firma la facciata di Santa Croce, nella sua parte più fiammeggiante», scrive Mario Manieri Elia in Barocco leccese, e cioè nella parte superiore). Il suo stato di salute non è dei migliori, e le prime avvisaglie si hanno nel 2011, con il crollo di alcuni frammenti. Appare subito chiaro che Santa Croce ha seri problemi sia di natura statica – specie nella parte superiore – che di natura lapidea: la pietra si sta sfarinando, le lesioni e lo sgretolamento risultano evidenti. I fattori climatici sono il suo più grande nemico. Le piogge acide hanno contribuito moltissimo all’esfoliazione della pietra. Non solo. La facciata è diventata habitat di muschi, licheni, e quei chiaro-scuri, che si notano con facilità anche a occhio nudo, altro non sono che la prova della presenza diffusa di fattori patogeni. Una curiosità infine: in estate, la temperatura della facciata raggiunge i 50 gradi centigradi. Sfido qualunque tipo di pietra a resistere, per quattro secoli e oltre, a questo stress.
Il terzo livello del cantiere, dove come prima tappa ci porta l’ascensore, è quello ad altezza rosone: vietato toccare ovviamente, ma la vicinanza è tale che si potrebbe anche farlo. E già qui è possibile notare la differenza tra le parti oggetto di restauro e quelle ancora non.
I lavori sono stati preceduti da una lunga fase di studio, sperimentazione, realizzazione di prototipi. «E’ un approccio scientifico molto rigoroso», dice Valerio Nicolì, direttore del cantiere. Gli studi sono serviti a individuare i prodotti che hanno maggiore compatibilità con la pietra, da utilizzare intanto per la pulitura della facciata e poi per il consolidamento e la messa in sicurezza. «Sono prodotti organici – spiega Nicolì – e hanno una doppia funzione: di consolidamento e di protezione. Il trattamento è lungo, il processo molto delicato, e prevede applicazioni particolari: ossalati di ammonio a impacco, da lasciare poi agire per un tot numero di ore». Come certi trattamenti di bellezza. Ma è un trattamento d’urto in questo caso, che richiede tanto lavoro manuale.
A commissionare l’intervento di restauro è stata la Curia di Lecce. La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio ha redatto il progetto e dirige i lavori; la Regione Puglia finanzia con 2 milioni di euro. Iniziati nel 2016, dovrebbero terminare entro il 2018. «Aprire il cantiere al pubblico è anche un modo per far conoscere il lavoro prezioso dei restauratori – dice Nicolì -. Ci sono maestranze altamente specializzate in questo cantiere. Recuperare la magnificenza di questa facciata e restituirla alla città, agli studiosi e ai tanti turisti che vengono ad ammirarla, non è una cosa da niente». Si va di pennello, la cura in ogni dettaglio. E non è un caso che lo slogan di questo restauro, la frase impressa sul telo che ricopre la facciata e diventata quasi un brand, è «Aver Cura». Cura per la storia, cura per la bellezza.