Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Copiò la tesi per il suo libro» Un anno di carcere per la prof Condannata Giuseppina Pizzolante, pena sospesa. Dovrà risarcire l’ateneo
Adesso la condanna è definitiva e la querelante spera che anche l’università prenda provvedimenti. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a un anno di reclusione (con pena sospesa) per la ricercatrice Giuseppina Pizzolante, rea di calunnia e utilizzo di opera altrui. La parte lesa e vittima del plagio è Concetta Piscitelli, che con il suo avvocato, Ezio Provaroni del Foro di Bari, non riesce a spiegarsi come mai Pizzolante continui a svolgere la sua attività come se nulla fosse successo.
L’episodio risale a diversi anni fa, quando Piscitelli, autrice di una tesi redatta per un dottorando di ricerca, si è accorta che Pizzolante aveva copiato ben 130 pagine del suo lavoro e le aveva inserite in una monografia presentata per partecipare a un concorso per diventare professore associato della facoltà di Diritto internazionale di Bari nella sede dell’università di Taranto. Piscitelli ha intentato causa contro la collega. Il processo di primo grado si è concluso con la condanna di Pizzolante a un anno e 4 mesi di reclusione, ma quest’ultima, certa di essere dalla parte della ragione, è ricorsa in appello. Il giudice di secondo grado, a marzo del 2016, ha ridotto la condanna a un anno e ha dovuto accertare la prescrizione di tre dei cinque capi di accusa. Inizialmente, nel procedimento era stato coinvolto anche il presidente dell’Ordine degli avvocati di Taranto in carica all’inizio degli anni Duemila. L’imputata, infatti, nel tentativo di provare che a copiare fosse stata la querelante e non lei, aveva depositato all’università e all’Ordine forense un documento retrodatato nel quale compariva anche la parte scritta da Piscitelli. Una settimana fa, la Corte Suprema ha scritto la parola fine confermando la condanna e riconoscendo un risarcimento di 30 mila euro ciascuno a Pizzolante e all’Università degli studi di Bari, che si è costituita parte civile insieme alla querelante. Il concorso al quale Pizzolante aveva partecipato è stato annullato e lei stessa ha rinunciato a concorrervi. In questi anni, però, ha continuato a ricoprire il ruolo di ricercatrice nella sede tarantina dell’università.
Il ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado era stato presentato da Pizzolante. «La Cassazione — spiega l’avvocato Provaroni — lo ha giudicato inammissibile. È stato un processo difficile perché, all’inizio, vi erano coinvolte persone con ruoli molto importanti le cui posizioni sono state stralciate dal processo principale. Quelle stesse persone sono poi state assolte in sede di processo con rito abbreviato». Nel dispositivo della sentenza di primo grado c’è un passaggio nel quale il giudice chiedeva il trasferimento degli atti alla Procura della Repubblica, ma è rimasto lettera morta. «È paradossale — dice ancora Provaroni — che l’imputata abbia continuato a lavorare. Mi auguro soltanto che l’Università attendesse la condanna definitiva e che adesso vengano presi provvedimenti. Purtroppo, non è il primo caso e non sarà nemmeno l’ultimo e questo dimostra ancora una volta che anche nell’università non va avanti chi merita e ha delle capacità».