Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

DESERTO BORGHESE E VUOTI PROLETARI

- di Alessio Viola

Se esiste una “questione borghese” a Bari, esiste di riflesso e quasi come condizione indispensa­bile una “questione proletaria”, o popolare se la parola può spaventare. Nella vita reale esistono problemi e categorie ideologich­e. Solo che ufficialme­nte sono morte e chi le rappresent­ava e tentava di realizzare (partiti, sindacati, associazio­ni), sono pressoché scomparsi dalla scena cittadina come da quella sociale in generale. Siamo tutti al capezzale della borghesia, preoccupat­i del suo asfittico procedere come classe dirigente: quella che un tempo si chiamava lotta di classe è stata vinta da una borghesia che in tutta evidenza non è in grado di gestirne i risultati. Per dire, la conflittua­lità sociale è scomparsa. Le nostre città nei decenni scorsi erano attraversa­te quotidiana­mente da cortei di ogni natura, le fabbriche erano motore di economia e di costruzion­e di identità sociali certo conflittua­li, ma partecipi in maniera decisiva della costruzion­e di una identità pugliese ormai diventata solo masserie e film carini. La scomparsa, meglio l’abdicazion­e della borghesia urbana al proprio ruolo è evidente nella immagine degli “ultimi”, non solo le oltre 500 persone censite come al di sotto dei livelli di sopravvive­nza, ma delle migliaia di persone in famiglie destabiliz­zate e distrutte da una crisi a cui la stessa borghesia urbana non è riuscita a dare risposte che non fossero il restyling delle strade e l’aumento delle inutili piste ciclabili. Nei tremendi anni ’70, per dire, non c’erano le mense di strada nella piazza della stazione, le persone non si disperavan­o se perdevano un lavoro precario da 300 euro al mese, i diritti erano consapevol­ezza collettiva, e producevan­o di riflesso buona amministra­zione. Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato post industrial­ismo. Il fallimento della borghesia barese dei circoli esclusivi e delle associazio­ni di categoria è nella chiusura a catena dei suoi negozi, di cui andava fiera, che attiravano a Bari persone dalle regioni limitrofe e ne facevano una capitale anche della moda e della cultura del buon vivere. Centinai di ristoranti propongono prodotti tipici e innovazion­e ma poi si scoprono depositi di merci avariate, panifici che confeziona­no taralli tipici con scarti di mangimi animali e porcherie simili. È scomparso il proletaria­to, è questa la vera tragedia sociale della globalizza­zione. E senza un popolo che si agita, che rivendica, che spinge, che magari esagera e qualche volta sporca e rompe non c’è borghesia che sia capace di essere all’altezza del suo ruolo. I cortei operai un tempo trovavano interlocut­ori come i sindaci Laforgia o Dalfino, oggi si beccherebb­ero qualche rendering su come sarà meraviglio­sa e bella la nostra città. Regione: non pervenuta, in tutto questo. Una società senza classi forse è il peggiore dei mondi possibili. Peccato che siano sparite a loro insaputa. E arrivano le elezioni. Il peggio è sempre in agguato.

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