Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
DESERTO BORGHESE E VUOTI PROLETARI
Se esiste una “questione borghese” a Bari, esiste di riflesso e quasi come condizione indispensabile una “questione proletaria”, o popolare se la parola può spaventare. Nella vita reale esistono problemi e categorie ideologiche. Solo che ufficialmente sono morte e chi le rappresentava e tentava di realizzare (partiti, sindacati, associazioni), sono pressoché scomparsi dalla scena cittadina come da quella sociale in generale. Siamo tutti al capezzale della borghesia, preoccupati del suo asfittico procedere come classe dirigente: quella che un tempo si chiamava lotta di classe è stata vinta da una borghesia che in tutta evidenza non è in grado di gestirne i risultati. Per dire, la conflittualità sociale è scomparsa. Le nostre città nei decenni scorsi erano attraversate quotidianamente da cortei di ogni natura, le fabbriche erano motore di economia e di costruzione di identità sociali certo conflittuali, ma partecipi in maniera decisiva della costruzione di una identità pugliese ormai diventata solo masserie e film carini. La scomparsa, meglio l’abdicazione della borghesia urbana al proprio ruolo è evidente nella immagine degli “ultimi”, non solo le oltre 500 persone censite come al di sotto dei livelli di sopravvivenza, ma delle migliaia di persone in famiglie destabilizzate e distrutte da una crisi a cui la stessa borghesia urbana non è riuscita a dare risposte che non fossero il restyling delle strade e l’aumento delle inutili piste ciclabili. Nei tremendi anni ’70, per dire, non c’erano le mense di strada nella piazza della stazione, le persone non si disperavano se perdevano un lavoro precario da 300 euro al mese, i diritti erano consapevolezza collettiva, e producevano di riflesso buona amministrazione. Hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato post industrialismo. Il fallimento della borghesia barese dei circoli esclusivi e delle associazioni di categoria è nella chiusura a catena dei suoi negozi, di cui andava fiera, che attiravano a Bari persone dalle regioni limitrofe e ne facevano una capitale anche della moda e della cultura del buon vivere. Centinai di ristoranti propongono prodotti tipici e innovazione ma poi si scoprono depositi di merci avariate, panifici che confezionano taralli tipici con scarti di mangimi animali e porcherie simili. È scomparso il proletariato, è questa la vera tragedia sociale della globalizzazione. E senza un popolo che si agita, che rivendica, che spinge, che magari esagera e qualche volta sporca e rompe non c’è borghesia che sia capace di essere all’altezza del suo ruolo. I cortei operai un tempo trovavano interlocutori come i sindaci Laforgia o Dalfino, oggi si beccherebbero qualche rendering su come sarà meravigliosa e bella la nostra città. Regione: non pervenuta, in tutto questo. Una società senza classi forse è il peggiore dei mondi possibili. Peccato che siano sparite a loro insaputa. E arrivano le elezioni. Il peggio è sempre in agguato.