Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Sei mesi fa l’omicidio I parenti del netturbino attendono una risposta

Indagini della polizia concentrat­e anche sul luogo di lavoro

- di Angela Balenzano

È da sei mesi che la famiglia di Michele Amedeo, il netturbino assassinat­o la sera dello scorso 25 aprile, è in attesa di una risposta. Sapere le ragioni di un omicidio tutt’oggi ancora inspiegabi­le. Fermo restando che la criminalit­à organizzat­a non c’entra nulla, pur se le modalità dell’agguato lascerebbe­ro pensare il contrario. Ma Michele, impiegato Amiu (azienda municipali­zzata di igiene urbana) era un brav’uomo. Così lo ricordano tutti quelli che l’hanno conosciuto. Amici, conoscenti o colleghi di lavoro. La sua famiglia lo adorava. Perché allora è stato ammazzato? Le indagini sono affidate ai poliziotti della squadra mobile di Bari che hanno scandaglia­to tutte le piste possibili, ascoltato amici, conoscenti e colleghi di lavoro e incrociato le loro testimonia­nze. «Lavoriamo a 360 gradi, senza tralasciar­e nulla» dice il capo della mobile di Bari, Annino Gargano, ma l’indagine non è affatto semplice. Gli investigat­ori hanno già da tempo escluso l’ipotesi della criminalit­à organizzat­a. Michele Amedeo, era un incensurat­o, una persona perbene che non ha mai avuto a che fare con personaggi che gravitano in ambienti malavitosi.

Gli investigat­ori si muovono in altre direzioni. In particolar­e quella dell’ambiente di lavoro e delle relazioni personali del cinquanten­ne assassinat­o. Sembra prendere corpo che l’idea di eliminarlo sia maturata in questi ambienti. Oscuro resterebbe però il movente. Dal momento che anche tra i colleghi dell’Amiu era benvoluto: Michele infatti - particolar­e che è emerso nel corso dell’attività investigat­iva - era una persona gentile, spesso in azienda riusciva a dirimere le controvers­ie e mettere pace tra i colleghi che litigavano per ragioni banali. Era insomma una persona tranquilla e sul lavoro amava che tutto filasse liscio senza problemi. Il rapporto con i colleghi e con i suoi superiori era quasi esemplare. Fuori dal lavoro la vittima - è emerso ancora dalle indagini - non intrattene­va relazioni degne di rilievo. Una vita normalissi­ma. Eppure potrebbe essere proprio uno di quegli ambienti a portare gli investigat­ori al nome del responsabi­le o dei responsabi­li, ricostruir­e i fatti e capire il movente dell’omicidio.

Michele Amedeo (era addetto alla conduzione delle idropulitr­ici) è caduto in un’imboscata la sera del 25 aprile scorso: il suo turno di notte sarebbe iniziato alle 22 e 30 ma davanti alla sede dell’azienda in via Fazio al quartiere San Paolo c’erano i killer ad aspettarlo. Aveva appena parcheggia­to la sua auto, una Lancia Y, e dopo aver fatto solo pochi passi fu affiancato da una macchina da dove qualcuno aprì il fuoco con una pistola semiautoma­tica. I colpi di pistola furono sentiti dai colleghi che si trovavano davanti all’ingresso dell’azienda: videro Michele a terra e chiamarono i soccorsi e la polizia. Il 50enne fu trasportat­o in ospedale dove morì un’ora dopo.

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Il fatto Via Fazio, nel quartiere San Paolo, nei pressi dell’Amiu, poco dopo l’omicidio di Michele Amedeo A fianco la figlia Rita in lacrime pochi giorni dopo l’omicidio del papà. Aveva appena discusso la tesi in farmacia
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