Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

PERCHÉ SALVEMINI NON È UN SANTINO

- di Alessandro Leogrande

Sono molti i motivi per cui Gaetano Salvemini è oggi un pensatore inattuale. E sono altrettant­i i motivi per cui, a sessant’anni dalla scomparsa, proprio questa inattualit­à può costituire un punto di vista irrituale sulla crisi della politica italiana. In fondo è singolare che colui il quale è stato un maestro dell’antifascis­mo democratic­o sia stato dimenticat­o già dalla gran parte delle forze politiche della prima repubblica. E che, nei decenni successivi, a parte forse il solo Marco Pannella, nessun leader nazionale lo abbia indicato nel suo personale pantheon o in quello del suo gruppo di riferiment­o.

Perché tutto questo? Intellettu­ale critico di ogni totalitari­smo e non solo del fascismo italiano, Salvemini si ritrovò ai margini del dibattito politico del secondo dopoguerra, insieme a un altra grande figura dell’antifascis­mo delle origini, Don Sturzo. Entrambi padri di un peculiare modo di intendere il meridional­ismo, condividon­o un simile destino. Sono gli unici due oppositori della prima ora a sopravvive­re alla dittatura: tutti gli altri muoiono o vengono uccisi. In fondo i leader che faranno la resistenza e poi la costituent­e vengono dal secondo antifascis­mo. Saranno loro a cementare l’edificio repubblica­no, ma su basi e mito diversi. Da qui l’inattualit­à dei due e della loro rilettura del crollo delle istituzion­i nei primi anni venti, e delle responsabi­lità delle forze politiche di centro e di sinistra nell’ascesa del fascismo. Proprio su questo aspetto si è soffermato Ernesto Galli della Loggia al termine di ciclo di incontri salveminia­ni proposto dalla Fondazione Di Vagno all’università di Bari. Salta agli occhi l’attenzione alla libertà, da parte di chi aveva ben capito fino a che punto potesse spingersi uno Stato totalitari­o. Ma Salvemini non è inattuale solo per questo. Quando fondò la rivista «L’Unità» nel 1911 volle farlo per dare un forte contributo alla critica dell’intervento militare in Libia. La sua rivista fu tra le prima a sostenere l’importanza di avere una posizione coerente sulle questioni internazio­nali. E Salvemini fu tra i primi a rilevare la centralità della questione mediterran­ea e di quella adriatica per l’Italia, e a studiare i Balcani, l’Albania, il genocidio degli armeni. Questa attenzione alla geopolitic­a è l’altra faccia della medaglia del meridional­ismo e poi dell’antifascis­mo. E oggi, forse, è proprio l’incrocio tra questi piani differenti a risultare controcorr­ente. Tuttavia mettere insieme tutti questi elementi di inattualit­à è un’operazione essenziale per sottrarre Salvemini alla dimentican­za. E farne, non un santino, ma un pungolo del presente.

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