Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
PERCHÉ SALVEMINI NON È UN SANTINO
Sono molti i motivi per cui Gaetano Salvemini è oggi un pensatore inattuale. E sono altrettanti i motivi per cui, a sessant’anni dalla scomparsa, proprio questa inattualità può costituire un punto di vista irrituale sulla crisi della politica italiana. In fondo è singolare che colui il quale è stato un maestro dell’antifascismo democratico sia stato dimenticato già dalla gran parte delle forze politiche della prima repubblica. E che, nei decenni successivi, a parte forse il solo Marco Pannella, nessun leader nazionale lo abbia indicato nel suo personale pantheon o in quello del suo gruppo di riferimento.
Perché tutto questo? Intellettuale critico di ogni totalitarismo e non solo del fascismo italiano, Salvemini si ritrovò ai margini del dibattito politico del secondo dopoguerra, insieme a un altra grande figura dell’antifascismo delle origini, Don Sturzo. Entrambi padri di un peculiare modo di intendere il meridionalismo, condividono un simile destino. Sono gli unici due oppositori della prima ora a sopravvivere alla dittatura: tutti gli altri muoiono o vengono uccisi. In fondo i leader che faranno la resistenza e poi la costituente vengono dal secondo antifascismo. Saranno loro a cementare l’edificio repubblicano, ma su basi e mito diversi. Da qui l’inattualità dei due e della loro rilettura del crollo delle istituzioni nei primi anni venti, e delle responsabilità delle forze politiche di centro e di sinistra nell’ascesa del fascismo. Proprio su questo aspetto si è soffermato Ernesto Galli della Loggia al termine di ciclo di incontri salveminiani proposto dalla Fondazione Di Vagno all’università di Bari. Salta agli occhi l’attenzione alla libertà, da parte di chi aveva ben capito fino a che punto potesse spingersi uno Stato totalitario. Ma Salvemini non è inattuale solo per questo. Quando fondò la rivista «L’Unità» nel 1911 volle farlo per dare un forte contributo alla critica dell’intervento militare in Libia. La sua rivista fu tra le prima a sostenere l’importanza di avere una posizione coerente sulle questioni internazionali. E Salvemini fu tra i primi a rilevare la centralità della questione mediterranea e di quella adriatica per l’Italia, e a studiare i Balcani, l’Albania, il genocidio degli armeni. Questa attenzione alla geopolitica è l’altra faccia della medaglia del meridionalismo e poi dell’antifascismo. E oggi, forse, è proprio l’incrocio tra questi piani differenti a risultare controcorrente. Tuttavia mettere insieme tutti questi elementi di inattualità è un’operazione essenziale per sottrarre Salvemini alla dimenticanza. E farne, non un santino, ma un pungolo del presente.