Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
IL SUD HA AGGANCIATO LA RIPRESA ORA NON LASCIAMOCELA SFUGGIRE
Continua la crisi economica globale che in Italia cominciò anche prima che altrove, e che ora stenta a chiudersi, mentre altrove o è passata o se ne sta uscendo a ritmo alquanto più accelerato. Fa colpo soprattutto lo stato dell’occupazione. Le notizie che se ne hanno sono tanto frequenti quanto spesso difficili da valutare perché contraddittorie nei loro dati e nel loro significato. Quel che è sicuro è che rispetto alla crisi la disoccupazione si sta configurando sempre più come una coda durissima da scorticare, e, certamente, molto più dura per la disoccupazione giovanile.
Ciò non sorprende. Per la disoccupazione giovanile le cose non erano rosee in Italia neppure quando per l’occupazione in generale le cose andavano molto bene (come ultimo anno buono viene ricordato il 2008). Si tratta, quindi, di un problema italiano di quelli che si usa definire strutturali: dipendente, cioè, da difetti storici, connaturati nella struttura dell’economia italiana, non dai particolari andamenti di alcuni anni. E, per di più, anche questo problema, come tutti quelli economici e sociali del paese, è complicato e reso molto più difficile dalla diversa e peggiore condizione del Sud rispetto al Nord.
Nello stesso tempo, le statistiche internazionali segnalano che le strutture portanti dell’economia continuano ad essere forti. Di recente è stato confermato che nella graduatoria mondiale dei paesi manifatturieri, guidata dalla Cina e dagli Stati Uniti, l’Italia si mantiene al settimo posto, con una quota di valore aggiunto pari, per il 2016, al 2,5%, mentre in Europa è seconda dopo la Germania, che nella graduatoria mondiale è al quarto posto.
In pratica, si dice, così, che nella sua ripresa l’Italia è trainata dalle attività manifatturiere. Ma la ripresa deve avere un carattere molto più generale, se anche gli investimenti stranieri in Italia sono cresciuti più che in altri paesi, per cui l’Italia ha potuto scalare ben cinque posizioni nella relativa classifica mondiale, dove ora è al tredicesimo posto. È vero che si tratta in Italia soltanto di 29 miliardi di dollari contro i 391 degli Stati Uniti, i 254 dell’Inghilterra e i 134 della Cina, ma tutto è, ovviamente, relativo alle rispettive dimensioni; e l’Italia ha, comunque, aumentato il suo totale nel 2016 di ben il 50%. Del resto, questo dato è congruente con quello relativo ai nuovi progetti di investimento, cresciuti nel periodo considerato del 35%, mentre sono diminuiti, tranne che in Spagna, negli altri maggiori paesi europei, Germania compresa.
Fino a poco tempo fa si obiettava, a chi diceva di una iniziale ripresa italiana, che le organizzazioni internazionali erano su questo punto piuttosto reticenti. Adesso, invece, anche a livello internazionale la ripresa italiana è pienamente riconosciuta, anche se si fa notare che è una crescita inferiore a quella degli altri, e oberata di particolari problemi (e fra questi problemi si ricorda sempre quello del debito pubblico, anche se sappiamo tutti che non è affatto il solo). Il dato più importante, notano però gli osservatori, è che l’Italia sia riuscita a salire sull’autobus europeo della ripresa, che aveva rischiato di perdere. Ora, poi, sembra andare anche meglio di altri.
E il Mezzogiorno? Sarebbe pressoché impossibile non vedere che anch’esso partecipa di questo rifiorire dell’economia italiana. in qualche regione lo si nota con maggiore evidenza e in maggiore misura. Così accade, certamente, in Campania, dove il fenomeno è più confortante perché non appare limitato solo a qualche settore, ma diffuso in linea abbastanza generale, e, inoltre, come nel complesso in Italia, anch’esso notevolmente trainato dalle attività manifatturiere.
Non occorre – è superfluo dirlo – sottolineare quanto importante sia questo dato di fatto. È, invece, decisamente necessario sottolineare che lo scatto meridionale che ad esso dà luogo pone un problema di rapido e non superficiale adeguamento a tale dato di fatto di quanto si è pensato di fare in materia di Mezzogiorno. È sempre necessario che il Mezzogiorno conti prima di tutto e soprattutto su se stesso e sia protagonista del suo progresso di proprio slancio e iniziativa: quante volte l’abbiamo detto e ripetuto? Ma ciò non significa che politiche di sviluppo territoriale siano impossibili o che non siano, comunque, desiderabili. La politica non può fare tutto. È stato a lungo un errore di tutti il crederlo, ostinandosi per troppo tempo nelle «politiche speciali» e negli «interventi straordinari». Oggi il Mezzogiorno dà segni positivi di iniziativa e di slancio quali non si sono visti da troppo tempo. È un germoglio prezioso, ma sempre suscettibile di inaridimento per la natura stessa di questi fenomeni. Ed è in momenti simili che la politica può fare di più e meglio, anche se il suo compito è in tali casi meno facile e scontato che in altre occasioni.
La presentazione del Rapporto Svimez di quest’anno, così come la discussione parlamentare sulla politica finanziaria ed economica proposta dal governo sono al riguardo un’ottima occasione per chiarirsi le idee.