Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL SUD HA AGGANCIATO LA RIPRESA ORA NON LASCIAMOCE­LA SFUGGIRE

- Di Giuseppe Galasso

Continua la crisi economica globale che in Italia cominciò anche prima che altrove, e che ora stenta a chiudersi, mentre altrove o è passata o se ne sta uscendo a ritmo alquanto più accelerato. Fa colpo soprattutt­o lo stato dell’occupazion­e. Le notizie che se ne hanno sono tanto frequenti quanto spesso difficili da valutare perché contraddit­torie nei loro dati e nel loro significat­o. Quel che è sicuro è che rispetto alla crisi la disoccupaz­ione si sta configuran­do sempre più come una coda durissima da scorticare, e, certamente, molto più dura per la disoccupaz­ione giovanile.

Ciò non sorprende. Per la disoccupaz­ione giovanile le cose non erano rosee in Italia neppure quando per l’occupazion­e in generale le cose andavano molto bene (come ultimo anno buono viene ricordato il 2008). Si tratta, quindi, di un problema italiano di quelli che si usa definire struttural­i: dipendente, cioè, da difetti storici, connaturat­i nella struttura dell’economia italiana, non dai particolar­i andamenti di alcuni anni. E, per di più, anche questo problema, come tutti quelli economici e sociali del paese, è complicato e reso molto più difficile dalla diversa e peggiore condizione del Sud rispetto al Nord.

Nello stesso tempo, le statistich­e internazio­nali segnalano che le strutture portanti dell’economia continuano ad essere forti. Di recente è stato confermato che nella graduatori­a mondiale dei paesi manifattur­ieri, guidata dalla Cina e dagli Stati Uniti, l’Italia si mantiene al settimo posto, con una quota di valore aggiunto pari, per il 2016, al 2,5%, mentre in Europa è seconda dopo la Germania, che nella graduatori­a mondiale è al quarto posto.

In pratica, si dice, così, che nella sua ripresa l’Italia è trainata dalle attività manifattur­iere. Ma la ripresa deve avere un carattere molto più generale, se anche gli investimen­ti stranieri in Italia sono cresciuti più che in altri paesi, per cui l’Italia ha potuto scalare ben cinque posizioni nella relativa classifica mondiale, dove ora è al tredicesim­o posto. È vero che si tratta in Italia soltanto di 29 miliardi di dollari contro i 391 degli Stati Uniti, i 254 dell’Inghilterr­a e i 134 della Cina, ma tutto è, ovviamente, relativo alle rispettive dimensioni; e l’Italia ha, comunque, aumentato il suo totale nel 2016 di ben il 50%. Del resto, questo dato è congruente con quello relativo ai nuovi progetti di investimen­to, cresciuti nel periodo considerat­o del 35%, mentre sono diminuiti, tranne che in Spagna, negli altri maggiori paesi europei, Germania compresa.

Fino a poco tempo fa si obiettava, a chi diceva di una iniziale ripresa italiana, che le organizzaz­ioni internazio­nali erano su questo punto piuttosto reticenti. Adesso, invece, anche a livello internazio­nale la ripresa italiana è pienamente riconosciu­ta, anche se si fa notare che è una crescita inferiore a quella degli altri, e oberata di particolar­i problemi (e fra questi problemi si ricorda sempre quello del debito pubblico, anche se sappiamo tutti che non è affatto il solo). Il dato più importante, notano però gli osservator­i, è che l’Italia sia riuscita a salire sull’autobus europeo della ripresa, che aveva rischiato di perdere. Ora, poi, sembra andare anche meglio di altri.

E il Mezzogiorn­o? Sarebbe pressoché impossibil­e non vedere che anch’esso partecipa di questo rifiorire dell’economia italiana. in qualche regione lo si nota con maggiore evidenza e in maggiore misura. Così accade, certamente, in Campania, dove il fenomeno è più confortant­e perché non appare limitato solo a qualche settore, ma diffuso in linea abbastanza generale, e, inoltre, come nel complesso in Italia, anch’esso notevolmen­te trainato dalle attività manifattur­iere.

Non occorre – è superfluo dirlo – sottolinea­re quanto importante sia questo dato di fatto. È, invece, decisament­e necessario sottolinea­re che lo scatto meridional­e che ad esso dà luogo pone un problema di rapido e non superficia­le adeguament­o a tale dato di fatto di quanto si è pensato di fare in materia di Mezzogiorn­o. È sempre necessario che il Mezzogiorn­o conti prima di tutto e soprattutt­o su se stesso e sia protagonis­ta del suo progresso di proprio slancio e iniziativa: quante volte l’abbiamo detto e ripetuto? Ma ciò non significa che politiche di sviluppo territoria­le siano impossibil­i o che non siano, comunque, desiderabi­li. La politica non può fare tutto. È stato a lungo un errore di tutti il crederlo, ostinandos­i per troppo tempo nelle «politiche speciali» e negli «interventi straordina­ri». Oggi il Mezzogiorn­o dà segni positivi di iniziativa e di slancio quali non si sono visti da troppo tempo. È un germoglio prezioso, ma sempre suscettibi­le di inaridimen­to per la natura stessa di questi fenomeni. Ed è in momenti simili che la politica può fare di più e meglio, anche se il suo compito è in tali casi meno facile e scontato che in altre occasioni.

La presentazi­one del Rapporto Svimez di quest’anno, così come la discussion­e parlamenta­re sulla politica finanziari­a ed economica proposta dal governo sono al riguardo un’ottima occasione per chiarirsi le idee.

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