Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Salento, cento frantoi scavati nella roccia
Alla scoperta dei «trappeti» ipogei, una straordinaria macchina del tempo racconta la storia dell’olio Da Giurdignano a Vernole, da Presicce a Vernole: un viaggio suggestivo nei sotterranei
C’è un Salento «sotterraneo» che merita di essere scoperto: è quello dei «trappeti» o frantoi ipogei. Solo nella provincia di Lecce sono stati individuati circa cento frantoi scavati nella roccia calcarea, e sin dai primi anni ‘80 enti pubblici e organismi di tutela si sono adoperati nell’opera di recupero di questi veri e propri reperti di archeologia rurale. Oggi esistono dunque interessanti percorsi guidati, organizzati da associazioni del territorio e proloco, che invitano alla scoperta di questi luoghi sotterranei, testimoni di una civiltà millenaria legata alla lavorazione delle olive.
Tra i frantoi ipogei meglio conservati, ci sono il Trappitello del Duca a Giurdignano, il trappeto di Giuggianello, il frantoio di Palazzo Palmieri di Martignano e quelli di Specchia, Acquarica del Capo, Vernole e Presicce. E poi ci sono quelli di Gallipoli, un tempo capitale dell’olio lampante.
A Giurdignano, ubicato al di fuori del centro antico e al di sotto di una masseria, c’è il primo, quello di Trappitello del Duca, risalente al XVI secolo. Vi si accede da una scala coperta da una volta a botte che immette in un grande ambiente scavato nella roccia. Qui c’era la vasca per la molitura, di cui ora è visibile la grande base che accoglieva la macina in pietra. Intorno ci sono gli ambienti destinati ad accogliere le olive, detti «sciave», depositi, zone per il riposo dei «trappetari e la stalla per il mulo. Sono visibili inoltre ricostruzioni di torchi, sia «alla calabrese» che «alla genovese».
Il trappeto è stato attivo per oltre quattro secoli, cessando il suo ciclo produttivo intorno al 1940, quando venne abbandonato ed utilizzato come ovile e pollaio della soprastante masseria. (Info: 0836 871407).
Il frantoio semipogeo di Martignano, che fa parte del complesso del Parco Turistico Culturale «Palmieri» a cura dell’Associazione Griko, è completamente restaurato e reso fruibile anche per eventi culturali, mostre d’arte, esposizioni ed eventi musicali. Il frantoio, realizzato nel XVII secolo ed ampliato a partire dal XVIII secolo, conserva ancora la vasca per la molitura con due macine. Verso Leuca c’è Presicce, il comune salentino con il maggior numero di trappeti a grotta. Si dice che sotto la centrale piazza del Popolo si estenda un’altra città fatta di antri in cui fino agli inizi del ‘900 si svolgeva la frenetica attività dei frantoiani. L’associazione Fiori di pietra di Presicce (info: 340 5073883) organizza le visite che si possono estendere anche a Specchia, poco lontano, dove c’è il trappeto Scupola, composto da due diversi ambienti scavati nel tufo intorno al XV e al XVII secolo. Ad Acquarica del Capo c’è poi il frantoio ipogeo della Madonna dei Panetti, accanto all’omonima cappella dell’XI-XII secolo. Il sito fu utilizzato per oltre quattro secoli, fino agli inizi del ‘900, quando fu abbandonato a causa delle cattive condizioni igieniche alle quali erano sottoposti i lavoranti. (Info: 0833721106).
Nel cuore della città di Vernole, al centro della piazza principale, una scalinata dà l’accesso ad un antico frantoio ipogeo, denominato «Caffa», scavato nella pietra locale. Si narra che questo frantoio sia stato da sempre popolato da una ciurmaglia di chiassosi e burloni folletti, gli «uri», che si attivavano solo nelle ore notturne e di giorno riposavano nel trappeto. Ancora oggi gli anziani della cittadina ne raccontano gli scherzi. (Info: 0832 899111).
Infine, salendo sul versante ionico, a Gallipoli, ci sono alcuni bei trappeti restaurati dall’associazione Gallipoli nostra, in pieno centro storico: i frantoi di Palazzo Granafei e quello del Vicerè, visitabili con una spesa di pochi euro. Se tutti i siti ipogei menzionati finora servivano per produrre olio alimentare, quelli di Gallipoli sono invece testimonianza di quando la città era capitale mondiale dell’olio da lampada, che veniva esportato per illuminare i grandi centri d’Europa. La storia tramanda che alla borsa di Londra il prezzo veniva fatto sulla base delle quotazioni salentine e che la regina inglese del tempo volesse specificamente l’olio lampante di Gallipoli perché, oltre a essere efficiente, era chiaro e bello da vedersi.